Non amava i social media Oliviero Toscani. Perché: «sono il campo di concentramento di voi giovani», e poi «hanno messo gli imbecilli in ordine alfabetico». Dal diluvio visivo di Instagram non si aspettava niente di interessante: «non si rovista nell’immondizia». A 80 anni passati se lo poteva permettere di tirare i remi in barca nei confronti di tutta la modernità bella e brutta, specie col carattere impossibile, spiccio, impaziente che aveva e mica sempre lo aiutava. Con la biografia che si ritrovava. Il padre fotoreporter gli aveva passato il mestiere a Predappio durante la tumulazione del Duce, quando il 14enne Oliviero scattò il volto di Rachele Mussolini poi pubblicato dal Corriere.
Per amore di completezza, la foto di Mussolini a testa in giù a piazzale Loreto è di Fedele Toscani, e resta la prima «provocazione» di famiglia nei confronti dell’eterno criptofascismo italiano. Continua a funzionare. Purtroppo. Pessimo a scuola, anarchico nel profondo, senza patria e figlio della breve modernità milanese del Boom, Toscani figlio fa il «viaggio a Chiasso» già nel 1960 per frequentare la scuola d’arte in Svizzera con maestri gli ultimi dada e Bauhaus che lì si erano «spiaggiati», come amava raccontare. Prosegue il mestiere di famiglia. Scatta i Beatles al Vigorelli. Per gli immigrati italiani in Svizzera, maltrattati, organizza la sua prima «provocazione»: invita i sindacalisti della Cgil a mangiare i cigni abbattuti in un parco di Zurigo perché troppo vecchi. Scatta, scatta.
I giornali impazziscono, e d’altra parte gli immigrati non hanno mai smesso di mangiare cigni, cani e gatti, come si sa. Il razzismo sarà uno dei bersagli di Toscani fino all’ultimo, quando con il progetto «Razza umana» fotografa volti di gente di ogni parte del mondo, meglio se coinvolti in qualche genere di guerra tra loro. Israeliani e palestinesi. Le croci nel cimitero di guerra della ex Jugoslavia.
CONOSCE WARHOL alla Factory nella leggendaria New York del 74-75, e già che c’era scatta ritratti a Lou Reed e Patti Smith. Al Chelsea Hotel. Baffoni lunghi, camicia di jeans, macchina sempre al collo. Di quegli anni, 1972, la foto «Chi mi ama mi segua» per la campagna dei Jesus Jeans prodotti dal Maglificio Calzificio Torinese (tempi eroici delle fabbrichette italiane).
Mostrava, come si sa bene, perché è forse l’immagine più famosa e studiata della pubblicità italiana, il culo della sua fidanzata dell’epoca Donna Jordan, avvolto in una paio di short di jeans di gran moda. L’immagine ha un minimo di contatto con certe copertine della Factory scattate alla stessa «altezza» (Sticky Fingers di Warhol per gli Stones, 1969 Velvet Underground ecc). Discutibilissima per il suo maschilismo rock’n’roll, ha il merito di essere chiara: sesso, jeans, entusiasmo, modernità sfrenata, fine di ogni mediazione politica, e ragionevole attesa. Della stessa campagna firmata da Emanuele Pirella, fa parte un altro slogan celebre: Non avrai altro jeans all’infuori di me, accoppiato a un’altra foto meno famosa. Facendo un po’ di confusione Pierpaolo Pasolini sul Corriere riflette con un certo smarrimento sul fatto che quella pubblicità ha un lato buono: «punisce la Chiesa per il suo patto col diavolo», quello di essere guardiana morale della società.
«Anche se magari magistratura e poliziotti, messi subito cristianamente in moto, riusciranno a strappare dai muri della nazione questo manifesto e questo slogan, ormai si tratta di un fatto irreversibile». La mutazione dei valori, conclude, è avvenuta. In un’altra immagine celebre di Benetton/Toscani una suora e un prete si baciano sulla bocca.
C’È ANCORA un po’ Pasolini nell’uso politico dell’immagine che Oliviero Toscani inizia a praticare dal 1982 grazie ai «maglioncini» di Benetton. C’è di sicuro Marco Pannella. La pratica dello scandalo ha (paradossalmente) un sottofondo particolarmente cristiano, ma pure da performance d’avanguardia: l’idea che un’immagine possa fare di più di mille parole. Le immagini di Toscani sono chiare, luminose, usano colori primari. Non hanno ombre, in maniera così pop e innaturale, warholiana ancora. Neppure sfondi. Come se arrivassero già dal Paradiso, promesse sbirciate fuori dalla vecchia caverna di Platone. Toscani non farà mai il cinema che ama da spettatore.
La sua cultura visiva è però interamente inscritta dentro quegli anni luminosi. Non sono provocatori i «temi» che sceglie per le sue foto, a pensarci bene. Sono tutti giusti, e basta. Il razzismo: dai ragazzini bianchi e neri avvolti negli stessi maglioncini, ai cuori rossi strappati dal corpo con su scritto la «razza» presunta, alla cittadinanza negata. La lunga tragedia dell’Aids: il manifesto con la foto dei preservativi colorati alla sconvolgente Deposizione che mostra la morte di un giovane malato circondato dalla sua famiglia. La foto non era di Toscani, ma di Therese Frare, e tuttavia l’attenzione al corpo diventa un altro dei filoni della sua comunicazione visiva, dalla modella anoressica Isabelle Caro alla sua ultima foto malato di amiloidosi, uno scatto al quale non si sottrae.
LA PROVOCAZIONE era nel fatto che le foto fossero pagate dalla pubblicità. Il peccato di committenza, come si dice. In questo Toscani è stato una figura unica di artista, senz’arte nè accademia. Spesso in quegli anni per quelli come lui si rubava il termine «situazionismo» a Debord. Esagerando perché nessuno dei situazionisti di quegli anni in tv e nella comunicazione italiana (Ricci, Freccero…) volevano davvero abbattere il teatrino della comunicazione, ma creare almeno tutto lo scompiglio possibile, combattere il provincialismo italiano e il clericofascismo italiano certi che sotto sotto che sarebbe continuato a esistere.
Ma avevano ragione, e neppure avevano visto tutto: la lotta capillare della nuova destra contro ogni diritto, gender, immigrato. Toscani odiava i social perché avevano definitivamente fatto tramontare la bacheca quotidiana dei suoi scatti fotografici, la ragione della sua arte: le pubblicità sulle riviste patinate e sui giornali, i grandi cartelloni sulla strada, gli spot in televisione. Mancanza, al solito, di un altro Pasolini che ragioni sopra le eventuali possibilità, i rischi della situazione, la ri-mutazione dei valori.
Dal Manifesto.
Ianna