Voglio dedicare la mia storia al nipotino di Edo… con la preghiera di stare all’occhio, perché con i bambini certe cose rischiano di scappare di mano. Anche quelle importantissime…
Ebbene sì… nasco in una famiglia di siriani, con l’aggravante fossero grandi appassionati di calcio giocato (fortunatamente come racconterò), prima che visto e tifato. Mio padre difendeva fieramente la porta della Lavagnese ed era quindi impegnato molto spesso a sgrabellarsi tra i pali del Riboli o in giro per il nord Italia da semiprofessionista come erano ai tempi i calciatori di serie D.
Il lavoro in Ansaldo costituiva una specie di diversivo, almeno all’epoca.
Quando poteva, però, ci portava a Marassi ad “ammirare” Cacciatori, Lippi, Saltutti, Tuttino e compagnia cantante. Erano i tempi degli scracchiatori sempre impegnati nell’ inseguimento al guardialinee, dei cuscinetti in campo a fine partita e degli albori del mondo ultras. Ritenuti in fondo dei poveri sfigati viste le tensioni sociali e il clima degli anni di piombo.
Lo portava ma non riusciva a coinvolgerlo, qualcosa non andava in quel bambino in imbarazzo a calzare magliette e sciarpe a strisce. Spesso rabbuiato di fronte a fischi e mugugni tipici dei distinti; “eppure gioca sempre, gli piace il pallone”.
Il pallone, infatti, mi piaceva di brutto, sempre in strada o dai preti a rincorrerlo senza stancarmi mai. Non lo stadio: “per scaldarlo ci vorrebbe un derby”.
Ottobre 1978
Genoa: Girardi, Ogliari, Magnocavallo, Masi, pikkia Gorin, Odorizzi, Conti, Rizzo, Colletta, Criscimanni, Damiani
Merde: Garella, Arnuzzo, Talami, Rossi, Lippi, Ferroni, Bresciani, Orlandi, Chiorri, Tuttino, Chiarugi
Mentre Annullin fischiava l’inizio, il campo non si vedeva perché invaso dei fumogeni della Nord. Il bambino non schioda lo sguardo da quel mare rossoblu mentre il subentrato Miano serve un certo Bruno Conti, che supera in tromba un difensore e scodella per Damiani che brucia Ferroni ed insacca. Il ruggito della Nord mi è entrato nell’anima, destinato a non uscirne più finché scampo.
Entrato nell’anima e stampato nel cuore anche se non dev’essere stato facile ammetterlo per un bimbo di sette anni, perso tra l’amore per il padre e l’attrazione fatale.
Ci pensò “Gian dell’Anna”, amico di famiglia e affascinante guascone con la macchina sportiva, la chitarra per strimpellare Faber a ogni occasione nonché grandissimo genoano.
“Se me lo lasci lo porto a fare un giro, così vai tranquillo a giocare che la Delly tiene aperto il negozio anche la domenica”.
“Grazie Gian… dove andate?”
“Non lo so… magari a Santo Stefano”
Altro che Val D’Aveto, mi portava nella Nord dove assunsi consapevolezza, definitivamente e per sempre. Quando fummo scoperti non si parlarono più per anni e il povero papà dovette sorbirsi un genoano in casa, tra l’altro velenosissimo e forgiato dal menaggio casalingo come anti doriano viscerale, per il resto dei suoi giorni. Li conosco meglio di quanto si conoscano loro stessi e so dove far male.
Quando Faccenda cacciò il diavolo all’inferno ero in mezzo ai distinti, per castigo, a sorbirmi merde-verona in B e mi partì una leva talmente forte da “perdere” la radiolina dalla mano sinistra che finì in testa a uno due file più sotto: tra un po’ ci linciano. Povero papà, mi voleva talmente bene che mi comprò una scarpetta rossoblu, quella mitica di quarant’anni fa a strisce sottili rossoblu che sventolava sul pullman del sandoia club Rapallo di ritorno da Marassi.
Le mie più sentite felicitazioni per il nipote. Con stima imperitura.
Massimo
PS: attenzione! 😉🤞❤️