Pasko Iannak - Episodio finale
Pasko guardò dalle vetrate appannate della hall dell'albergo. L'autunno era giunto puntuale. Le luci serali dei lampioni, l'umidità del periodo e i primi sbalzi termici creavano vapore freddo che offuscava la vista dall'interno. Per poter vedere meglio Pasko dovette avvicinarsi molto per scorgere qualcosa di esterno. E fuori non c'era anima viva. Un deserto umido, buio, appannato che creava un senso di solitudine interiore. Non quella di sentirsi soli bensì quella melancholia, quello spleen che ormai veniva curato e non più indotto ad essere vissuto.
Pasko rifletteva. Vuoto fuori, camere vuote, zero clienti, zero richieste. Calma piatta. Totale silenzio.
Dopo qualche minuto Pasko provo' ad aprire la porta dell'albergo per provare a ridurre l'appannamento dei vetri.
Si fermò sull'uscio e rimase ad osservare le viuzze deserte. Erano le nove di sera.
Nella mente ripercorse ricordi di un passato non lontano quando lì, in quelle vie i bambini giocavano a calcio o guardie e ladri. Ripensó ad un periodo vicino in cui ancora condividere qualcosa (in pensieri, giochi ed opinioni) era decisamente importante e formativo.
Non vide nessuno per minuti. Solo un vociare indistinto si avvertì lontano, ma non si capi' nemmeno se fosse rumore umano.
Pasko ebbe un momento di commozione ma non seppe da dove proveniva. Sentí il cuore stringersi. Le gambe fecero cilecca nel rimanere erette. Dovette appoggiarsi allo stipite. Non passò nessuno. Sembrava l'unico abitante della città vecchia.
'Cosa mi succede? Perché queste lacrime che stanno formandosi nei bulbi oculari? E questo cuore contrito?'
Erano tutte domande che assalirono l'animo e non la mente di Pasko. Il quale si guardò intorno. La donna delle pulizie stava ultimando il pavimento, il porter sonnecchiava manco avesse caricato centinaia di valigie. Pasko si sentí straniero. Straniero in un luogo a lui fin troppo ben conosciuto. Straniero anche a sé stesso. Guardando fuori l'opacita' dei vetri lo indussero a osservarsi dentro. Chi sono? Dove vado? Da dove vengo? Furono le tipiche domande di chi riflette molto e che non piacciono a coloro che son nati di pragmatismo e poca introspezione.
Ma la riflessione sconvolse Pasko.
Si guardò, osservò che stava indossando il suo classico gilet a V. Con dei pantaloni di velluto.
Guardò la postazione di lavoro. Non la riconobbe. Osservò nuovamente fuori. Si decise. Richiuse il libro delle presenze alberghiere giornaliere. Spense la luce ed uscì. Senza nemmeno chiudere la porta dietro sé.
"È ora di andare", disse.
Furono le ultime parole che si ricordano di Pasko in attività.
Ma Pasko cammino' a lungo. Giunse vicino al mare lagunare. Non lo riconobbe come suo. Prosegui' senza incontrare anima viva. Non si pose altre domande. L'assenza umana quasi lo rese felice.
'Non posso fare che così'. La frase nacque spontanea in sé. Tornò a mirare il paesaggio notturno. Il nulla, i dolori, le sofferenze alternate alle gioie. Tutto si confuse nell'atmosfera della notte scura alleviata da piccole luci che rendono pulsante questa terra ormai stanca. Pasko si fuse con la natura ricordando le cose più preziose che ancora possedeva e che non lo avrebbero abbandonato mai più.