C’è chi pretende di prevedere senza analizzare. Di giudicare senza comprendere. Di pontificare senza nemmeno sfiorare la realtà. È il benaltrismo: quella nobile disciplina che consiste nel non affrontare mai il problema davanti a sé, ma nel puntare il dito altrove, preferibilmente verso l’iperspazio delle utopie.
Questi paladini del “altro è il vero problema” non hanno quasi mai il coraggio di dire ciò che pensano—ammesso che pensino davvero. Citano altri, si nascondono dietro opinioni altrui come bambini dell’asilo dietro le tende. Ma le astrusità che scrivono sono le loro, anche se le firmano con penne di seconda mano. Però vanno compresi… sono persone sensibili contro gretti materialisti: aziendalisti!
Il loro talento? Accostare mele e bulloni, confondere contesti, e costruire una narrazione che parte da una posizione precostituita e arriva dritta al nulla. E se osi distinguere, se provi a dire “aspetta, qui ci sono differenze sostanziali”, ti becchi l’etichetta di giustificazionista. Per loro, la complessità è una bestemmia.
Prendiamo il Genoa. Diciassette anni di gestione Preziosi, un’epopea di improvvisazioni, rattoppi, e illusioni da bancarella. All’inizio. Poi giù la maschera e l’umiliazione eletta a fine. La promessa esplicita di farcela pagare… e l’abbiamo pagata carissima.
Arrivato Sucu dopo un miracolo strampalato, otto mesi di lavoro, e già parte il processo: “Eh ma non investono e non lo faranno mai”, “Eh ma il mercato è deludente”, “Eh ma il vero problema è un altro”.
Ecco il benaltrismo in azione. Confondere la comprensione della necessità di uscire dal disastro con l’idea che si stia facendo uno sconto eterno pro futuro. Come se riconoscere il disastro lasciato da Preziosi significasse automaticamente giustificare ogni scelta prospettica. No. Non è così. Ma se non si parte dalla realtà, si finisce nel delirio.
Preziosi ha avuto diciassette anni per costruire il suo castello di sabbia. Sucu ne ha avuti otto mesi per iniziare a bonificare il terreno. Eppure, per i benaltristi, il tempo non esiste. Le proporzioni non contano. Il contesto è un dettaglio fastidioso. Tutto si riduce a una lamentela travestita da analisi.
E sia chiaro: non accetto l’etichetta del tifoso di Sucu, né di Blasquez. La proiezione del sostegno eterno non la garantisco a nessuno. L’unico interesse che mi muove è vedere il Genoa finalmente rendere per il suo valore—come piazza, come storia, come passione—come mai ho visto. Di chi lo gestisce mi interessa solo in questo senso. E sconti non ne faccio a nessuno. Giustificazionista un cazzo.
Il risultato? Una lettura fuorviante, una narrazione tossica, e un dibattito che non dibatte: recita.
Paragonare il Genoa di Preziosi a quello di Sucu senza tenere conto di tempo, contesto e intenzioni è:
• come confrontare un frigorifero rotto da vent’anni con uno appena acceso e lamentarsi che non abbia ancora fatto il ghiaccio.
• come confrontare una discarica lasciata aperta per diciassette anni con chi ha appena iniziato a bonificarla, e accusarlo di non aver ancora piantato le aiuole.
Chi mistifica non analizza: recita. E chi recita senza capire, non fa critica—fa rumore. Faccia pure, basta non insultare gli altri facendoli passare per quello che non sono.
A me interessa solo il Genoa: PORCO XXX