Quando il Genoa va male, sto male
Non è una metafora. Non è una frase fatta. È una condizione esistenziale: quando il Genoa va male, sto male. Non riesco a sentire la radio, guardare una partita, godermi una cena, una passeggiata, una giornata di sole, un lavoro fatto bene. Tutto è sottofondo di una crisi identitaria.
Perché il Genoa è codice condiviso, un battito collettivo, un modo di stare al mondo. E quando quel battito si inceppa, quando la squadra arranca, quando le scelte non convincono, quando le parole non bastano, tutto il resto perde sapore. Non c’è musica, non c’è ironia, non c’è leggerezza che tenga.
Non è questione di risultati o di ragione, ma di senso. Di rispetto per chi vive il Genoa come parte della propria struttura emotiva. Di attenzione per chi non lo considera un passatempo, ma un vincolo affettivo. Quando il Genoa va male, non si tratta di perdere una partita. Si tratta di perdere certezza in se stessi. C’è un mucchio di gente con cui non condivido un belino di niente, ma il Genoa lo sente così.
E questo mi fa soffrire. E non ci sono spiegazioni che tengano. Anzi, qualsiasi spiegazione fa ancora più incazzare. Perché chi sente il Genoa non cerca alibi, cerca dignità. Non vuole essere rassicurato, vuole essere preso sul serio. E quando non lo è, quando le parole diventano scuse, quando le analisi diventano fumo, il dolore si trasforma in rabbia. E la rabbia, se non la si ascolta, diventa frustrazione e poi collera.
E poi c’è l’informazione sportiva, che mi manda fuori di testa. DAZN con i commentatori tifosi delle altre squadre, gente che storpia il nome in “Genova”, i commenti supini verso le solite squadre, le solite narrative asservite, le solite carezze ai soliti noti. Ma anche le mezze verità della stampa locale, le omissioni, le complicità, le veline travestite da analisi. Non sopporto nessuno. Nemmeno la verità. Perché lo so che è Colombo è partito malissimo ma vorrei tirarlo con i denti a spaccare la porta.
Manderei tutti affanculo. Perché quando il Genoa va male, non c’è spazio per la diplomazia. C’è solo il bisogno di gridare, di rompere il silenzio, di non lasciarsi anestetizzare.
Quando il Genoa va male, sto male. E non mi interessa se è irrazionale, se è eccessivo, se è fuori luogo. È così. E chi lo sente, lo sa. Chi non lo sente, non lo capirà mai. Ma non è a loro che parlo.
Parlo a chi, come me, non riesce a separare la vita dalla squadra. A chi non cerca consolazione, ma rispetto. A chi non vuole essere intrattenuto, ma riconosciuto. Perché il Genoa non è intrattenimento: è appartenenza.
Dedicato a Franco Scoglio… lui capirebbe…