Bortolazzi Però a questo punto faccio io una domanda a voi. Non è che per caso ci sia tutta questa diffidenza e critica perchè è rumeno? (questa domanda non è proprio diretta a te, che ritengo essere, per quel poco che intuisco, una persona al di sopra di queste illazioni. Ma vuole essere una provocazione un po' come lo è stata la tua).
Rispondere alla provocazione non banale del Borto richiedeva tempo e riflessione. La mia risposta è che “pensare non è disturbare, tacere si”.
Il dissenso non è anarchia. Non è il vomito digitale delle latrine dove vince chi urla più forte. Non è provocazione sterile, né sfogo da tastiera. Il dissenso che serve è quello che argomenta, che mette in discussione, che osa dire “non sono d’accordo” e spiega perché. Se non facciamo questa distinzione, finiamo per confondere il pensiero critico con il rumore — e ci troviamo in altri luoghi da cui scappammo tempo fa a gambe levate.
Poi arriva il calciomercato, e molti dei nostri migliori pensatori si ritirano in silenzio come monaci in clausura. È la stagione depressiva del muretto: tra voci improbabili, isterie da plusvalenza e incubi di mezz’estate, il dibattito si svuota e resta solo il brusio. I writers si spengono, i post si accorciano, e chi prova a ragionare viene scambiato per rompi coglioni.
L’altro giorno ho risposto a Lajos Detari (che non ha ritenuto, a quanto pare, di voler smentire) e ho riletto con attenzione Bortolazzi, che ha avuto il merito di criticare l’ondata di pessimismo che sta affondando il nostro muretto. Ripensando ai miei errori e alla latenza di tanti writer oggi in disarmo, mi viene da chiedermi: perché il dibattito langue?
La tendenza a circondarsi di simili si chiama omofilia. È naturale, specie in una community di “sentire” come la nostra, bella perché ha identità ma ragiona… ma è anche il primo passo verso l’autocompiacimento. Quando ascoltiamo solo chi ci dà ragione, non stiamo costruendo consenso: stiamo scavando una fossa. Le opinioni si rafforzano, si irrigidiscono, si radicalizzano. E il confronto soffre.
Per iperbole: rischiamo di leggere solo ciò che ci piace, condivididere solo ciò che ci rassicura, ignoriamo tutto il resto. Studi su Facebook — Bakshy, se non ricordo male — dimostrano che non è tanto l’algoritmo a chiuderci in una bolla, ma noi stessi. Così anche un dato banale diventa una bandiera, e chi lo interpreta diversamente viene trattato da nemico.
Risultato? Una comunità che sembra compatta, ma è fragile.
Il vero confronto non è armonia. È frizione, è attrito, è capacità di trasformare il dissenso in carburante. Se vogliamo che QdM resti vivo, dobbiamo smettere di silenziarci se “fuori coro”. A patto che si rispettino i confini — perché qui si parla di fede laica, non di crociate. Penso non più, dopo Preziosi, fino a che non dovesse esserci bisogno.
Un abbraccio ai moderatori, che probabilmente mi malediranno per questo post, ma che ringrazio sinceramente per gli sforzi, la pazienza e per tenere in piedi questo spazio unico.