DaniloLR Comunque a me spesso sembra tutto un teatrino preparato a tavolino: tu fai la parte del polemico, io di quello che ti smorza, l'altro fa il mediatore e compagnia cantante.
Quanto hai ragione Danilo, e quante volte ne parliamo su QdM. Dovessi dire è il nostro argomento preferito, tanto da sfociare spesso in argomenti più “seri” rispetto al calcio e riflessioni argute su vere o presunte linee editoriali del muretto stesso.
Infatti ci illudiamo di essere spettatori neutrali, seduti o sdraiati davanti allo schermo mentre scorriamo notizie filtrate da un unico copione. Ma l’informazione non è un flusso anonimo: è il prodotto di una vera e propria microfisica del potere, fatta di scadenze, metriche e format preconfezionati che plasmano senza clamore ciò che vediamo e pensiamo.
Titoli urlati - spesso difformi dal contenuto dell’articolo come facciamo giustamente notare - e statistiche di gradimento agiscono come giudici silenziosi, insegnando sia all’autore che al lettore/spettatore a non sconfinare mai dalle narrative accettate. D’altronde l’editore vuole vendere e l’inserzionista non paga certo per scioccare i clienti.
Non serve censura palese quando il meccanismo premia l’autocensura e l’omologazione.
Le omissioni non sono errori ma strategie di controllo. Ciò che non serve al copione viene espulso, soppresso nei titoli, relegato a un trafiletto sommario. Con il risultato che l’ “appassionato ” firma petizioni online, ignora dati contraddittori, prospettive alternative, testimonianze che scardinerebbero la “storia collettiva” confezionata ad arte.
In questa fabbrica di sensazioni e conferme, la distinzione tra fatti e opinioni dovrebbe diventare il nostro mezzo di difesa.. Consultare fonti primarie, pensare metodi di verifica, aprirsi alle opinioni che smentiscono narrazioni precostituite. Solo così smetteremmo di essere consumatori passivi.
Il “quarto potere” – quello del giornalismo – è ai minimi storici circa la sua credibilità: concentrazioni editoriali, pressioni politiche e logiche di mercato comprimono l’autonomia delle redazioni. Anche le migliori testate “resistenti”, nonostante l’eccellenza professionale, restano intrappolate nella click-economy. L’automatismo dei “mi piace” rafforza i luoghi comuni – immigrazione, sicurezza, economia – riducendo il complesso a slogan ripetuti all’infinito. Rompere questo circuito significa spezzare il patto tacito tra editori, giornalisti e audience.
Solo riconoscendo la nostra complicità potremo rovesciare il regime di verità dominante. Diffidiamo da noi stessi! Sono ben consapevole di aver derivato rispetto al ridicolo contesto del giornalismo sportivo locale, però è anche vero che - nella sua banalità- è un ottimo esercizio di riscaldamento per applicare i concetti ad ambiti ben più complessi.