mashiro la mia impressione è che tu dietro alla scusa dei conti confonda quale è il settore di business del Genoa. Anzi quali sono i settori di business del Genoa.
Eccomi, Mashi,
Per scelta mia di principio — e per tuo merito, vista la sostanza delle obiezioni nel tuo post di stamane — faccio finta di dimenticare che mi hai attribuito un “cliché” (quello del “dietro alla scusa dei conti”) di cui ti accennavo stamane…
Premessa: visto che mi hai “seguito”, ti prego di evidenziare — sii spietato — se trovi qualcosa di nuovo rispetto a quanto sostengo da due anni.
Credo sia fondamentale riportare il discorso su coordinate di merito più che di suggestione: il Genoa CFC — ho consumato i polpastrelli — va considerato per ciò che è: un’entità autonoma, con struttura economica e patrimoniale che impone responsabilità e visione.
La narrazione sulla sua “sopravvivenza nella galassia Preziosi” non solo è opinabile, ma diventa fuorviante se si confronta con una società appesantita da oltre 300 milioni di indebitamento e da costi superiori ai ricavi. Non può esserci futuro per il club se non quello svincolato da dipendenze e sostenuto dalla coerenza dei numeri. Di essere una lavatrice fiscale (mi fermo qui, seguendoti, ché la parcella all’avvocato l’ho già pagata una volta) non penso interessi né giustifichi alcunché.
Il cosiddetto “valore lasciato” — che tu citi come lascito tecnico, e quindi economico — va contestualizzato: se non si tiene conto di circa 80 milioni di cespiti a impatto negativo (tra ammortamenti residui e costo del lavoro), si altera la percezione del patrimonio tecnico. Smaltire questa componente non funzionale è stato un processo oneroso, con impatto rilevante sul conto economico. In molti casi, l’effetto è stato pari e contrario al presunto beneficio patrimoniale.
Potrei annoiare con dettagli… figurarsi se mi cimento con la moda dei “sensitivi” che poco capiscono ma tutto sanno.
L’equilibrio finanziario non è una scusa per non investire, ma una condizione necessaria per farlo con efficacia. Il fallimento non era probabilmente imminente — ci sono dettagli che non conosco e ti seguo nell’immaginare un’operazione guidata all’uopo — ma ignorare che senza interventi su equilibrio, costi, rosa, generazione di cassa, il club sarebbe rimasto senza margini reali è imprudente.
Io guardo ai numeri del Genoa CFC, non ai moventi dei soggetti esterni: se la traiettoria oggi è positiva, il “chi” conta meno del “come”. Scusa l’urlato, ma lo devo dire chiaro visto che le allusioni si sprecano: di Blasquez e Sucu NON MI INTERESSA UN CAZZO.
Un dato centrale da monitorare è il rapporto tra debito e valore commerciale della rosa. Se l’indebitamento netto supera il valore aggregato del parco giocatori (inteso come potenziale di mercato e non valore a libro), il club perde flessibilità e deve cedere per necessità. Viceversa, un valore rosa superiore al debito consente scelte libere, margini d’investimento, protezione del progetto tecnico.
Purtroppo, il nostro indebitamento netto è ancora superiore al valore di mercato della rosa. Il tutto al netto delle volontà dei calciatori, delle carriere e dei procuratori.
Quanto agli investimenti per ambire all’Europa, non credo sia possibile determinarne ex ante l’entità: le variabili sono troppe, e il rischio di inseguire l’illusione del “colpo” è concreto. Quello che si può garantire è la continuità di costruzione, l’unica leva davvero efficace per trasformare l’ambizione in possibilità. Consolidare l’equilibrio, investire con logica e selettività, evitare lo sbilanciamento: questa è la strada per puntare all’Europa senza compromettere la struttura.
Se davvero ci interessa il futuro del Genoa, dobbiamo smettere di chiederci chi lo tiene in vita — e cominciare a verificare se la vita che ha è sostenibile, libera e capace di crescere.
Certo che ci vorranno investimenti. Per mesi ho chiesto di spiegare perché non emergono o non possono essere fatti. Nel silenzio assoluto dei “sensitivi”, dei commentatori della singola operazione o — scusatemi tanto — degli analfabeti che vorrebbero insegnarci cosa succederà. Però sanno. Hanno ragione. E sono talmente temerari che un giorno mi diranno — segnatelo — che me lo avevano detto, ma che sono troppo presuntuoso per ammetterlo. Se non in malafede.
Io resto fedele al metodo: osservare, interrogare i numeri, e difendere il club con i fatti — non con gli slogan.
P.S.: perdonami se non mi sono soffermato su Inter, Barcellona e rumente. Un po’ non mi interessa, un po’ era una provocazione persino troppo facile da smontare. E ho preferito concentrarmi sul cuore del problema.