La questione dei danni arbitrali contro il Genoa, lo ammetto, mi crea un atteggiamento schizofrenico.
Da un lato la mia voglia di inveire contro ingiustizie evidenti, quasi sempre aggravate dai necessari favori concessi alle “grandi”.
Dall’altro il rifiuto del piagnisteo costante contro i complotti, le congiure contro il Genoa, il facile alibi dell’arbitro cornuto per giustificare sconfitte o squallide prestazioni della squadra.
Tuttavia, è troppo evidente la disparità di trattamento che l’utilizzo del Var ha attenuato ma non risolto, perché la discrezionalità delle immagini, delle misteriose righe tracciate sul campo con il computer, e dell’ambiguo rapporto tra il primo giudice in campo e la cassazione che inquadra ciò che vuole, rimane il buco nero di un carrozzone al collasso che sopravvive solo se le “7 sorelle” vanno avanti.
Per il Genoa la storia è secolare e si può dire cominci con la Stella rubata nel 1925, senza contare che si vorrebbe pure carpirgli lo scudetto del 1915 per condividerlo con la Lazio, squadretta che allora giocava nel girone meridionale a livello Borgoratti o al massimo Ligorna.
Dopo le vicende di ieri non posso fare a meno di riproporre lo storico furto del 1964 avvenuto a S.Siro contro la Grande Inter, quando il Genoa vinceva per un goal di Piaceri e a 20 minuti dalla fine l’arbitro sospese l’incontro per nebbia, dopo un vergognoso assedio dei giocatori neroazzuri al “signor” D’Agostini, scena poi negli anni replicata alla grande dai Baresi, dai Totti, dai Chiellini, e da tutti i leader che sfruttavano il carisma per plagiare i fischietti a rischio carriera.
Mio padre Arturo, che all’epoca era una colonna della Rametta rossoblu a De Ferrari, prese penna e calamaio per scrivere al Presidente del Genoa Berrino (l’odierno equivalente dell’irritato Zangrillo), e a nome di “un folto gruppo di vecchi Genoani” volle esprimere lo sdegno di chi subiva per statuto la “sudditanza psicologica” di arbitri telecomandati dal palazzo.
Non si può ignorare il garbo e l’eleganza della risposta di una Società che ancora non considerava “utenti” i propri tifosi.
Non c’era Internet né Facebook, le notizie erano privilegio dei giornali e dei tam-tam dei Bar dello Sport ma, se scrivevi al Genoa, qualcuno ti rispondeva.
Oggi, consapevole che questa sopraffazione non cambierà mai, rimangono solo poche opzioni, e ciascuno si regoli:
ingoiare veleno, urlare alla luna, rassegnarsi all’iniquità in cambio della dose settimanale di linfa genoana, o staccare la spina in attesa che questo calcio finto e corrotto imploda.
p.s. allego notizie di quella famosa partita prese da Pianeta Genoa.
«E’ una ingiustizia, le grandi squadre sono protette. Protesto perché il Genoa non merita questo trattamento». A parlare così fu il 5 gennaio 1964 Giacomo Berrino, allora presidente del Genoa. Sembra cronaca di oggi, ma i fatti risalgono a 49 anni fa. Dichiarazioni simili riecheggiano nelle cronache calcistiche attuali, in particolare quelle rossoblù: la storia, dunque, non insegna mai nulla.
Ma andiamo con ordine. Quel giorno il Grifone conduceva 1-0 a San Siro contro l’Inter di Herrera, quella che vinceva scudetti e coppe. Il giornalista Giulio Accatino su La Stampa scrisse: «La partita Inter-Genoa a San Siro è stata sospesa per la nebbia dall’arbitro D’Agostini di Roma a mezz’ora esatta dal termine mentre i liguri erano in vantaggio per 1 a 0». La cronaca prosegue con un particolare che fa meglio comprendere l’ingiustizia: «La decisione del direttore di gara, logica forse in base al regolamento, lascerà adito senza dubbio a molte discussioni perché la nebbia al momento dell’interruzione del gioco non era più fitta di prima. La visibilità era pressoché nulla anche all’inizio, ma D’Agostini, che in precedenza aveva considerato tutto regolare, pressato da insistenti richieste del capitano dei nerazzurri Guarneri, ha deciso la sospensione al 15′ della ripresa». Il cronista aggiunge: «Se il calcio è spettacolo , questo incontro Inter-Genoa non doveva neppure iniziare perché il pubblico (scarso, dato il gran freddo, poco più di settemila paganti) ha potuto vedere ben poco dagli spalti di San Siro». Solo dopo il fischio d’inizio c’era una visibilità discreta e si era potuto vedere il gol del Genoa. Ecco la descrizione della marcature: «Proprio su contropiede si registrava una veloce manovra rossoblù: Bicicli-Bean-Locatelli, il centro del sudamericano veniva raccolto da Piaceri, che nonostante fosse pressato da Zaglio deviava in rete. Si era al 7° di gioco, l’Inter non aveva ancora espresso le sue possibilità, il Genoa neppure, ma il gol di Piaceri mutava i rapporti di forza» . I rossoblù riuscirono a contenere le manovre avversarie e conclusero in vantaggio la prima frazione di gioco.
La ripresa, però, riservava loro una spiacevole sorpresa. La parola ad Accatino: «Quando con il passare dei minuti (era già iniziata la ripresa) i nerazzurri cominciarono a rendersi conto che il traguardo del pareggio poteva anche non essere raggiunto, Herrera ha dato ordine a Guarneri di chiedere all’arbitro il controllo della visibilità come vuole il regolamento. Al primo “assalto” D’Agostini è rimasto impassibile. Poi alcuni interisti si sono stretti attorno al direttore di gara, è giunto all’appuntamento anche Bean per difendere, come capitano, gli interessi del Genoa. D’Agostini ha guardato da lontano la rete di Sarti ed ha detto con un prolungato fischio che la gara era sospesa». A nulla valsero le proteste di tutta la squadra e la dirigenza rossoblù, col presidente Berrino in testa. La partita fu recuperata il 29 gennaio: il Genoa dovette soccombere 1-0. A fine campionato arrivò ottavo a 30 punti: l’Inter arrivò al primo posto col Bologna e perse lo scudetto nello spareggio di Roma.
Dopo questa ingiustizia i tifosi si strinsero forte attorno alla squadra. Ne è prova la risposta del presidente Berrino alla lettera di Arturo Castaldi e di un folto gruppo di vecchi tifosi genoani con cui espressero l’incondizionato sostegno alla società. Nella sua missiva del 10 febbraio 1964 ringraziò i supporter «per le cortesi espressioni rivolte e per l’affettuosa e spontanea attestazione di simpatia ai colori rosso-blu». Il presidente prosegue: «Comprendo anche a pieno il risentimento dei nostri sostenitori per le troppo frequenti ingiustizie che la nostra squadra subisce». La chiosa finale dell’allora numero uno del club rossoblù (che aveva compiuto 70 anni pochi mesi prima) è una lezione di stile: «Lettere come la Sua ci inducono invece a continuare con modestia, alacrità e fermezza per quanto possibile al fine di ricostituire un Genoa non indegno delle sue antiche tradizioni. Grazie di cuore».