Prendiamoci la licenza di analizzare un fenomeno fuori dal nostro misero
perimetro zeneize ma assolutamente degno delle fughe psicogeniche
lynchiane. Il "vir probus" per eccellenza ed antonomasia:
l'Interista.
L'Interista nasce per sua natura, dogmatica ed incontestabile,
mondato dal Peccato Originale (Massimo M., 2, 1-12). Questa
peculiare caratteristica è data dall'Onestà tramandata dai primi
Homo Habilis del Pleistocene che solevano pittare le gote di nero e
di bleu (Estoril? Le fonti non concordano).
Nemmeno l'avvento del Cristianesimo, che volle brutalmente caricare
l'Uomo di colpe al primo vagito, riuscì mai a scalfire la
proverbiale Onestà dell'Uomo Interista. Passato indenne e puro come
una Vergine dipinta dal Botticelli dalla chioma nera e bleu
(Estoril? Che diamine! Chiedete a Giambruno e non rompetemi il
belino!) a cotanto rischio persecutorio, l'Uomo Interista si
ritrovava nei panni del fustigatore di una Donna luminosa ma dai
facili costumi, rinomata nella penisola italica come "Vecchia
Signora".
Nonostante l'Uomo Interista assistesse a periodi di indubbie fama e
gloria dovuti a mecenati più o meno senza scrupoli (qui il Vangelo
di Massimo M. non ci viene purtroppo molto in aiuto soprattutto sui
morti di leucemia in quel di Sarroch, causata dal petrolchimico
Saras giacché le pagine risultano strappate o piene di omissis),
l'assillo della Vecchia Signora era una fissazione quasi paranoica.
Il vir probus ambrosiano denunciava, sbraitava, accusava, assestava
"cartoni" (metaforici, sia chiaro) al Grande Fratello del Sistema
Italico del Dio Eupalla, reo di flirtare a ripetizione con la
malefica e tanto vituperata Vecchia Signora.
Numerosi gli episodi che l'Uomo Interista snocciolava a memoria
sulle malefatte della Donna in mise zebrata: non necessariamente
commesse ai danni della propria Beneamata pulzella, ma a difesa
degli umili e dei defraudati (che fossero Viola, di rabbia e di
rigore, o giallorossi come il buon Ramon Turone da Varazze, 100
presenze in maglia rossoblu).
L'odio del vir propus ambrosiano nei confronti della Vecchia
Signora, però, con il nuovo millennio andava via via acquisendo una
sorta di metamorfosi. Cesare (anche se non è mai stato certificato
che fosse realmente sua la frase in questione) era solito dire "Si
non potes inimicum tuum vincere, habeas eum amicum" (e, se non
sapete il latino, sappiate che lo mastica persino Lotito; ergo,
fatevi delle domande). La casa della Beneamata veniva così
frequentata sempre più assiduamente da amanti della Vecchia Signora
col placet dapprima sospettoso ma poi sempre più entusiasta
dell'Uomo Interista: l'uomo col Toscano, Lippi, in prima battuta e a
seguire quello più verace dal Salento, Conte Degli Agghiaggiandi.
Fossimo in un film di David Lynch ora assisteremmo ad una di quelle
scene oniriche e deliranti, fatta di fughe psicogeniche dalla
propria stretta realtà, piena di panni attillati e non più consoni
alla voglia e alla sete di potere sempre crescente: e se, in fondo
in fondo, i comportamenti della Vecchia Signora non fossero poi così
zozzoni? Del resto i suoi amanti, visti da vicino, non sono poi così
terribili come sembravano quando erano soliti frequentare la donna
dalle sconce mise zebrate!
Plot twist (dicono quelli bravi in drammaturgia)! L'Uomo Interista
del Nuovo Millennio comincia ad interrogarsi: e se rubare non fosse
poi così orribile come i nostri avi ci hanno pedantemente
tramandato? Si comincia con le caramelle e si finisce con yen e
fondi americani (eh sì... pure il vir probus). Ma, soprattutto, si
svolta in modo epocale prendendosi in casa il prosseneta della
Vecchia Signora, il lenone dallo sguardo solo apparentemente
annebbiato. Questo è il vero salto di qualità del vir probus
ambrosiano! Colui che ha reso palese agli appassionati delle sorti
dello spettacolo proposto settimanalmente dal Dio Eupalla che quella
dell'Uomo Interista nei confronti della Vecchia Signora non era
solida indignazione, bensì una sanissima e incomparabile invidia.
"Sempre caro mi fu quest'altro furto" e poi con ingorda cupidigia
"Tu dammi mille furti, e quindi cento, poi dammene altri mille, e
quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento ancora".
Ceccarini chi? Ceccarini è sempre stato per il vir probus ambrosiano
ciò che per le donne è chiamata "invidia del pene". L'arbitro che
tutti gli Uomini Interisti avrebbero voluto per la Finale, per la
gara decisiva, per la notte più galante che possa esistere per la
propria Beneamata.
Come in "Star Wars" assistiamo in un crescendo rossiniano
all'ultimo, drammatico conflitto interiore del vir probus ambrosiano
nel momento della scoperta del proprio vero creatore, un Darth Vader
con addosso la maglia numero 10 di Del Piero e il suo gracchiante e
memorabile "IO SONO TUO PADRE!". Il liberatorio "NOOOO!" urlato
dall'Uomo Interista del Nuovo Millennio lo monda nuovamente di tutta
questa sofferenza nel passaggio al Lato Oscuro, al godimento del
furto in quanto ragion di esistenza, alla sovrapposizione perfetta
fra la Vecchia Signora e la propria Beneamata come in un puzzle da
10.000 pezzi che finalmente trovano la loro definitiva collocazione.
In un'immagine in cui il nerazzurro e il bianconero si fondono in
un'incantevole scioglievolezza di rigorini, sviste arbitrali,
plusvalenze fittizie (eh sì... pure il vir probus anche qui).
Resta però, malinconico e muto, in soffitta il ritratto dell'avo del
vir probus ambrosiano. Sguardo truce e accusatorio, moralizzatore e
fustigatore. Un Savonarola della Bovisa.
Ma che, come fosse il ritratto di Dorian Gray, vede invecchiare la
propria divisa, perdendo il caratteristico bleu (Estoril o meno, a
questo punto della storia ha ormai poca importanza) per un più
semplice bianco.
Del resto, meglio tanti giorni da Zebre che uno da quello che era
una volta un Biscione.