Una conferenza indetta per raccontare la propria verità: Manolo Portanova, insieme con il papà Daniele (anche lui ex calciatore del Genoa) e l’avvocato Gabriele Bordoni, rompe il silenzio. «È durato troppo — ha esordito il centrocampista rossoblù —. Continuo a chiedermi perché mi stia succedendo tutto questo. Soffro per tutto quello che sento, che leggo, e per tutte le persone coinvolte in questa vicenda. Fino a qualche settimana fa il mio unico sfogo era quello di indossare la maglia più bella del mondo, quella del Genoa, ora devo rinunciare pure a quello. Io avrei il diritto di giocare, questa vicenda però non è solo in tribunale ma mediatica. Portanova non porterà ipotesi ma prove».
La parola passa poi al padre: «I processi si dovrebbero fare nelle aule. A livello penale siamo stati “sconfitti” in primo grado, ma ci sono altri due gradi di giudizio per dimostrare l’innocenza di Manolo e degli altri ragazzi. A livello mediatico mio figlio è già stato condannato. Noi per forza di cose dobbiamo dire la nostra verità, basata su carta. Mio figlio soffre perché non gioca. Ringrazio il club, che ha sempre creduto e appoggiato Manolo: si allena sempre con i compagni, con cui si sente fino alla sera. Ma mi metto nei panni del club: a sentenza avvenuta, Manolo è stato convocato ed è successo il finimondo. A livello costituzionale Manolo è innocente fino al terzo grado di giudizio. Se io ci metto la faccia, so che mio figlio non è uno stupratore. Io vengo dalla periferia romana, ho dei valori, vengo dal niente. Ho basato la mia vita sul dare dei valori a mio figlio. Se mio figlio avesse fatto una cosa del genere mi sarei fatto giustizia da solo». Poi fa luce sulla vicenda, avvenuta tra il 30 e il 31 maggio del 2021 a Siena: «Quella sera non era una festa, ma un invito a giocare alla Play Station. In casa c’erano tre ragazze e sei ragazzi».
«Io amo svolgere il mio ruolo di difensore nelle aule di tribunale, non parlare delle vicende al di fuori — ha commentato il legale, Bordoni —. Nel tempo mi sono portato a riconsiderare parzialmente questo aspetto, perché quel silenzio di cui ha parlato Manolo può essere strumentalizzato. Il silenzio deve essere rotto, se no viene malinteso. Chi starebbe zitto di fronte ad accuse simili? Ho fatto fatica a trattenere Manolo fino ad oggi, ma lui è educato, rispettoso e conosce le regole del gioco. Anche se quel gioco è rappresentato da un processo. Il mio silenzio vacilla di fronte ad una sentenza muta, in questo caso qualcuno potrebbe pensare che Manolo e il suo difensore non abbiano elementi. In questa vicenda l’attenzione mediatica si lega al fatto che Manolo sia un uomo di sport. Avesse fatto il commesso alla Lidl…». «Gli approcci dei ventenni di oggi sono molto disinibiti — ha proseguito —, in materia sessuale far capire dissenso presunto e consenso pantomimico mi sembra scellerato. Noi all’attenzione del giudice abbiamo portato tanti elementi di prova, tanti argomenti. E non abbiamo sentito nulla, non un elemento di replica. Manolo è un giovane cittadino, mi ha chiesto perché tutto quello che abbiamo portato come difesa non sia stato preso in considerazione. In quella sentenza nessun elemento è stato minimamente considerato, neppure contraddetto. Non ho letto nemmeno una riga di replica. Mi sono sentito poco rispettato e frustrato. Fino al terzo grado di giudizio l’imputato non è colpevole. L’appello che presenterò è già scritto: dovrò solo contraddire le pochissime pagine di effettiva motivazione della sentenza. Proprio alla luce di quei concetti difficili, bisogna partire dal presupposto che il più delle volte possano essere delle incomprensioni quelle che portano una serata normale in un’altra direzione. Nelle ore immediatamente successive la ragazza assumeva di non avere mai espresso un dissenso, di non essersi mai opposta, di non aver saputo gestire la situazione. In quella sentenza si riconosceva che queste fossero le prime espressioni che la ragazza consegna alle persone a lei vicine. Ho sempre pensato si dovesse partire da quel punto, per capire cosa possa aver portato la ragazza a modificare il suo pensiero. La stessa protagonista racconta di non aver detto no e non essersi opposta. Rimane la parola modificata nel tempo di questa ragazza. Doveva essere fatta una valutazione molto profonda su questo argomento. Certe condanne sono la morte. La morte civile. E noi non siamo stati ascoltati».
Sugli esami medici effettuati dalla ragazza, l’avvocato aggiunge: «Esaminai subito la certificazione medica e mi rivolsi a degli esperti per alcuni aspetti. Rileggendo le dichiarazioni della giovane fatte al medico legale avevo notato alcune espressioni che non mi sembravano appartenere al suo patrimonio linguistico. Dopo ore di ricerca dei miei collaboratori sul web hanno trovato un articolo del 2016 di una giovane che aveva subìto violenza sessuale negli Stati Uniti. Se per esprimere il tuo dolore devi recuperare espressioni di altri, io penso sia anomalo. Se ricopio parola per parola, espressione per espressione, dati di fatto… È un elemento su cui si può aprire un dibattito. La ragazza ha portato un racconto che al 90% non era il suo. E dal video si ricavano due elementi. Primo: un quadro desolante di quello che è il modo di tenersi dei ragazzi. Secondo: se pubblicassimo quel segmento di video e chiedessimo a tutto uno stadio di dirci cosa vede, sono sicuro ci sarebbe unanimità: ci sono dei ragazzi che si divertono».
In chiusura ancora Manolo: «Penso di non aver portato ipotesi, ma la verità che Manolo Portanova non è uno stupratore». E il padre Daniele: «C’è un altro tipo di verità. Il nostro silenzio è stato di educazione. Sono fermamente contrario alla violenza contro le donne. Stiamo perdendo al 25’ del primo tempo una partita che dura 90’. Io credo nella giustizia e continuerò a farlo. Dimostreremo a petto in fuori l’innocenza di mio figlio». Lunedì sarà depositato l’appello.
Ianna