Vi ho aspettato tutto il giorno Genovesi.
Non volevo esserlo io a farlo, avellinese e "terrone", che in fondo sono solo Genoano e nemmeno come voi.
Ed invece ,sperando che sia stata una sola dimenticanza e non un Off Topic come gli altri, ecco che lo ricordo a nome di tutti noi.
"Cosa avrebbe detto del crollo del ponte Morandi?
Avrebbe quasi certamente detto che un ponte deve sempre unire e se cade allora non è un ponte e che quando questo cade uccide, ma che in questa contraddizione lascia ferite aperte su tutti (non è un caso che qualcosa di simile l’abbia detto Renzo Piano alla presentazione della sua “idea di ponte”).
Avrebbe poi probabilmente scritto della “banalità del male” che tanti Italiani hanno percepito nella trascuratezza, nell’inefficienza, nell’egoismo, nella pavidità dei comportamenti di troppi e di come il male possa farsi strada silenzioso nell’immenso corpo che è alla fine una società.
Avrebbe scritto come questa rivelazione, quando arriva colpisce tutti, e che quando è arrivata ha colpito tutti, anche chi su quel ponte non è mai transitato, e ci ha lasciato fragili e sgomenti.
Avrebbe poi quasi certamente avuto parole rivelatrici per un capitalismo che di moderno non ha nulla se trae profitto solo da gabelle antiche come la storia; e avrebbe avuto parole analoghe per uno stato che si è dimostrato incapace di proteggere abbastanza i suoi figli, non vegliando sulla sicurezza, quella che sempre, quasi “per natura” è la prima necessità e il primo dovere per quei “corpi” più grandi che sono una famiglia, una collettività, uno stato appunto.
Qui a Genova e in Liguria tutti si sentono, tutti ci sentiamo, un po’ dei sopravvissuti, inevitabile quando su quel ponte ci sei passato centinaia o anche migliaia di volte. Sopravvissuti come sopravvivere... vale a dire vivere sopra, vivere oltre... cosa avrebbe allora potuto dire lui, facendo sentire con dolore la contraddizione di morire in un giorno d’estate, su un ponte che corre “sopra” , che deve tenere tutto sopra?
Cosa avrebbe potuto scrivere di tutta la storia, di tutta la modernità e la tecnologia tradite nel crollo di quel ponte?
Forse sarebbe partito dalla parola ghèsher, "ponte" in ebraico, che nella Bibbia sembra non compaia mai. Lui, che la Bibbia e la cultura ebraica conosceva come pochi, avrebbe detto che erano “gli altri’ - i Greci, i Persiani e i Romani - i costruttori di ponti.
E alla fine avrebbe avuto anche parole di pietà per un’immagine che consapevoli o meno ci ha attraversato tutti quel giorno, quando il 14 agosto 2018 alle ore 11 e 36, quarantatré persone, senza scelta e senza colpa, hanno dovuto viverla. Mancare il terreno sotto i piedi è espressione che usiamo spesso, luogo comune verbale per tanti accidenti della vita, proprio perché indica la normalità e insieme la certezza della vita. Del resto, cosa altro c’è di più sicuro della forza di gravità, del suo renderci tutt’uno sul suolo in cui consumiamo i passi e i giorni?
Ma mancare il terreno sotto i piedi, diventa uno sgomento inaudito quando l’impossibilità improvvisamente è reale nel corpo che precipita.
Quello sgomento e insieme quella pietà che alla notizia, dopo tutti abbiamo avvertito, forse solo lui avrebbe potuto renderla con parole di verità tagliente e insieme di una qualche consolazione."
In onore e in ricordo di quelle vittime di 6 anni fa.
Ianna