Ianna
Il bar Play Off di Novate Milanese, incastrato tra la stazione e un’anonima fila di palazzi anni ’70, sembrava quel genere di posto che aspettava il momento giusto per diventare indimenticabile. L’aroma di caffè bruciato, il silenzio assordante, il tintinnio distratto di tazzine sbeccate: tutto contribuiva a creare l’atmosfera sospesa di una mattina qualunque. O quasi.
Ianna era già lì. Cappellino sulla testa, sciarpa rossoblù avvolta con cura attorno al collo, sguardo vagamente inquisitore rivolto verso l’ingresso. Aveva scelto l’angolo nascosto, un territorio di confine in cui si rifugiavano gli indecisi e gli osservatori. Aveva ordinato un caffè, ma più per occupare le mani che per il gusto. Aspettava. Ed era uno che odiava aspettare.
Alle 11:32 – qualche minuto dopo aver ricevuto l'indicazione via sms – la porta si aprì con una ventata gelida, e un uomo trafelato fece il suo ingresso. Giaccone aperto, viso arrossato, barba incolta. Bortolazzi.
Ianna lo riconobbe subito. C’era qualcosa in quell’aria goffamente sicura, in quel passo affrettato e nel sorriso imbarazzato, che parlava di un uomo che aveva passato troppo tempo a rispondere tardi ai messaggi ma che, quando contava davvero, arrivava.
«Ianna?» chiese Bortolazzi, senza nemmeno togliersi il giaccone.
«In carne e ossa», rispose l’avellinese, accennando un mezzo sorriso. «Aspettavo da tempo questo incontro, ma immagino che per uno di Genova, che ritiene la sua città l’ombelico del mondo, questo sia poco importante!»
Bortolazzi rise, accomodandosi sulla sedia senza perdere tempo. «Beh, almeno sono arrivato. E comunque, io sono scappato da Genova per il carattere di noi genovesi…»
Quelli che scrivevano sul fu Muretto erano un microcosmo unico: gente di ogni provenienza, unita dalla stessa fede calcistica e da un’ironia spesso al limite della decenza; gli "intrisi di alcol e di livore", come "uno" li aveva goffamente nominati. Ma Ianna in quello spazio era una leggenda. Non solo perché scriveva con una passione che trasudava da ogni virgola, ma perché aveva trasformato la sua lontananza geografica in un punto di forza.
«Finalmente riusciamo ad associare un volto ad un nickname» disse Bortolazzi, appena seduto.
Ianna si sistemò sulla sedia, e da lì partì un fiume di racconti. Parlò di Franco Scoglio, “il Professore”, con cui aveva avuto il privilegio di scambiare due parole durante un allenamento. Di Davide Scapini, figura mitica dietro le quinte del club, capace di gesti ineguagliabili. Di tutti gli altri frequentatori di Quelli del Muretto, con cui aveva condiviso anni di discussioni, litigi, e amicizie cementate da un amore comune.
Bortolazzi ascoltava, rapito. Ogni tanto annuiva, ogni tanto interveniva con una battuta, ma perlopiù lasciava che Ianna riempisse lo spazio con la sua voce.
E poi Ianna raccontò della cronaca dal tribunale di Treviso per il quasi fallimento e della riconoscenza dei genoani per quelle informazioni così vitali in quel momento. Tifosi genoani e genovesi, che per il campano erano troppo chiusi, troppo lenti ad aprirsi all'"extra ligure". Troppo diversi, noi, sempre diffidenti e parchi nelle esternazioni, dall'uomo del sud, caloroso, avvolgente.
E poi si passa alle richieste di Marmorato. «Ha avuto il coraggio di chiedermi come mai uno di Avellino è tifoso del Genoa! il “Pulitzer al pesto”. Giornalisti genovesi che si credono più acuti di una lama appena affilata, ma che alla fine si fermano sempre lì: “Perché non il Napoli? Perché non la Juve?” Ma il Genoa, capisci, è un richiamo. È come il mare per chi vive lontano. Non lo scegli, è lui che sceglie te.»
Ma quando la conversazione scivolò sul presente, sul Genoa attuale, gli occhi di Ianna si accesero di una luce diversa, più tagliente.
«E poi c’è Gilardino», esordì con un tono che fece capire subito a Bortolazzi che non sarebbe stata una parentesi breve. «O, come lo chiamo io, Pippardino.»
«Perché “Pippardino”?» chiese Bortolazzi, con tono provocatorio.
«Perché è una pippa. Dai, ammettilo! Cos’ha mai fatto? Ha preso una squadra con una storia gloriosa, con allenatori che hanno insegnato calcio – Gasperini, Scoglio, Bagnoli – e l’ha ridotta a uno spettacolo indegno. Uno schema non l’ha mai fatto. Sai qual è la sua tattica? “Palla a Gudmundsson ed esulta”. Oppure il lancione lungo per Thorsby, come se fossimo una squadra da Serie D. E questa sarebbe una filosofia di gioco?»
Ianna non si fermò. Era un fiume in piena. «Non solo non merita gli onori che gli hanno dato, Million dollar man, ma è anche il motivo per cui ho iniziato a staccarmi dal Genoa. Da quando è arrivato lui, non ho più voglia di guardare le partite. E sai quanto mi costa ammetterlo? Io, che per il Genoa ho perso voce, sonno e pure qualche amico. Ma con Gilardino in panchina non c’è più passione. Solo noia. Una noia che non ha pari nella nostra storia centenaria.»
Bortolazzi lo ascoltava in silenzio, cercando di trattenere un sorriso. Non perché non fosse d’accordo – in parte lo era, anche se resta sempre convinto che i risultati nel calcio sono quello che fa la differenza – ma perché quella veemenza, quella passione, erano il motivo per cui amava leggere Ianna su Quelli del Muretto. Era uno che non si limitava mai. O tutto o niente. O bianco o nero. O sei con lui o sei contro di lui.
Alle 12:30 si ritrovarono davanti alla stazione, ognuno con il proprio itinerario di ritorno.
Si strinsero la mano, senza grandi promesse; perchè da uomini di mare, le promesse se le porta via il vento. Si separarono, con decisione. L'incertezza avrebbe aperto la strada ad un altro aneddoto e poi un altro ancora e uno avrebbe perso il treno, e l'altro sarebbe stato licenziato.
E allora via, verso Novegro, dove lo aspettava la moglie (santa donna!), l’altro verso l’ufficio. Ma entrambi con la sensazione che, per un'ora, la distanza tra Nord e Sud si fosse accorciata, che la grande diversità tra un introverso e un guascone si fossero annullate almeno quanto basta per farci stare una squadra di calcio, un po’ di nostalgia e due cuori rossoblù.