mashiro Per questo tifo che Gilardino ne esca con ancor più forza di quel che farei normalmente.
Mi sembra che le differenze di valutazione siano solo relative alla tempistica.
Io sono per un cambio e una scossa immediati, la maggioranza esita a staccare la spina, sperando.
Allo stesso modo io speravo fino a ieri, speravo da settimane di vedere un cambio di passo e di mentalità, convinto che Gilardino, con gli sconquassi societari e di mercato, avesse solo bisogno di ulteriore tempo per gli accorgimenti necessari.
La conclusione a cui sono giunto è che l'impresa non sia nelle sue corde. E giudico inopportuna un'ulteriore attesa.
Ho anche l'impressione che per molti la sostituzione sia difficile da digerire, ma che sotto sotto la ritengano inevitabile.
Io non vorrei che succedesse quando i punti dalla quart'ultima fossero 4 o 5 e non più 3.
Altra differenza è quella relativa al forte legame tra la squadra e Gilardino. È davvero apprezzabile, ma quando ci si gioca tutto è anche una calda coperta che mette i giocatori al riparo delle responsabilità, perché sanno che l'allenatore li difenderà e li abbraccerà anziché prenderli a calci nel culo.
Fa il paio con il fatto che sono anche stufo di spellarmi le mani per applaudire giocatori con la maglia sudata che perdono onorevolmente. Voi siete giovani, io sono almeno 70 anni che lo faccio e alla fine mi sento cretino ad applaudire le sconfitte. Aiuta ad abituarsi a perdere.
Discorsi che ovviamente diventano validi quando si è sull'orlo del burrone. Non so voi dei social, ma a quelli della nostra generazione hanno insegnato che, in emergenza, si taglia la corda e si fa cadere il compagno o si taglia la propria e ci si lascia cadere se è l'unica ratio per salvare gli altri. Nelle circostanze estreme la poesia e il sentimento non valgono più, mentre la solidarietà e il coraggio vengono esaltati.
Gilardino è stato proiettato sul proscenio quando ancora stava frequentando la scuola di recitazione e nessuno sapeva come avrebbe reagito. È stato intelligente e accorto. Ha gestito le cose con prudenza, legandosi a doppio filo ai più esperti, che in B facevano la differenza. Così ha resistito in trincea, perché resistere è la sua vocazione. Non ha vinto il campionato, come la si fa passare oggi. Ha semplicemente lasciato immutato il distacco dal Frosinone rispetto a quando è subentrato. Gliene do merito. E gli riconosco il grande merito di aver guidato la nave con analoga accortezza in serie A, appoggiandosi sui valori consolidati nel campionato precedente, senza cercare avventure e senza inopportuni protagonismi. Utilizzava schemi semplici, di difesa ad oltranza e resistenza, come nelle sue corde. Schemi efficaci in parte anche senza Gudmundsson, data la relativa tranquillità della classifica. Ma Gudmundsson alla fin fine c'era e costituiva un fattore.
Quest'anno, a causa dello sprofondo societario di cui non è colpevole e di un mercato deficitario di cui non è colpevole, si trattava di ricostruire un meccanismo che non poteva essere uguale a se stesso. Inventarsi qualcosa. Stiamo ancora aspettando di vederne le premesse, infortuni o meno. Io vedo solo la paura di cambiare e la proiezione sui giocatori in campo della paura di uscire dagli schemi e di provare a inventare. In 10 partite giocate con encomiabile impegno non ricordo un'invenzione che sia una, un gol nato da una combinazione sfacciata. Tutte le partite buone sono state uguali. Inter, Roma, Bologna, Fiorentina: resistere, beccare gol, buttarsi a recuperare nel finale facendo saltare gli schemi. Monza resistenza accanita a difesa del gol bello ma casuale nel deserto delle occasioni. Quelle in cui si doveva provare a vincerle sono andate male (Verona e Venezia) con la conseguenza che il concetto della resistenza e l'ostracismo ad ogni forma di invenzione si sono ancor di più accentuate. Stendo un velo pietoso sul derby e sulla resistenza terrorizzata in trincea dopo il vantaggio.
Mi aspettavo di vedere, con Lazio e Fiorentina, il tanto atteso segnale di mentalità diversa, dato che non c'era niente da perdere. Mentalità, non filosofia scriteriata e aggressiva. Il suo gioco, i suoi equilibri, ma con un imput più deciso a provare a far male all'avversario. Credevo che lui lo chiedesse ma che i giocatori non fossero in grado. Poi vedo che, una volta preso il gol e passati in svantaggio, i ragazzi, liberati dalle inibizioni, aggrediscono, creano occasioni, costringono il portiere avversario a fare gli straordinari. E allora capisco che è la panchina a frenare i ragazzi, a scoraggiare possibili iniziative. È la mentalità che li blocca.
Questo è quello che vedo e questo mi fa cambiare opinione sull'opportunità di aspettare ancora per dare una svolta e sostituire l'allenatore, mio malgrado. Non ritengo Gilardino responsabile di nulla. Credo che abbia fatto il suo massimo. Ma il suo massimo, in queste difficili circostanze, non basta più. La sua naturale e lodevole prudenza non basta più.
Non invoco dal successore una rivoluzione. Non chiedo un cambio rischioso di atteggiamento. Chiedo solo un cambio di mentalità.
Per questo non mi aspetto esotismi e giochismi, ma qualcuno che conosca l'ambiente, che abbia esperienza, che sia gradito ai tifosi, che non operi per mettersi in mostra ma per raschiare quei punti che servono prima che sia troppo tardi. Sperando che la triade degli splendidi Di Francesco, Fabregas, Pecchia, con il loro gioco spumeggiante, vada a schiantarsi sugli scogli.
Ecco quanto.
Se poi faremo punti con Parma e Como (me lo auguro) ne riparliamo.
E con questo chiudo.