Parliamo di donne.
Non sembra, ma diventa un tema pertinente se ci mettiamo a disquisire della bellezza o della bruttezza del calcio.
In una donna la bellezza fine a se stessa non regge il confronto. Ve lo dice uno che ha fatto parecchi casting in vita sua. Non regge perché il concetto di bellezza è universale e nessuno mette in dubbio che miss Italia sia più bella della figlia di Fantozzi, ma ad un certo livello, quando si deve scegliere il top, entra in gioco la soggettività e non vale più il criterio generale. Allora, quello che colpisce la sensibilità individuale può essere un'imperfezione, o in altro caso la sensualità, o in altro caso la mitezza, in altro l'aggressività, in un milione di casi una combinazione di misteriose onde magnetiche per cui non ci sarà mai unanimità. Poco male. La maggior parte di noi non si confronta col top e si sa accontentare.
Ma nel calcio è uguale. Il criterio della bellezza è un elastico che si allunga da una parte e dall'altra a seconda del proprio modo di vedere, dei propri pregiudizi e del cinema che ognuno si fa mistificando anche parecchio. Una cosa è certa. Chi è convinto di giocar bene e perde riceve i complimenti dei vincenti, e passa alla storia come colui "che gioca bene". Ma il "giocar bene" non è un dato certo, anzi è quasi sempre frutto della mistificazione. Nell'esempio di Ianna avrebbe giocato bene chi ha tenuto palla per 80 minuti segnando un gol su un rimpallo in area e avrebbe giocato male chi ha tenuto palla per 10 minuti segnando un gol dopo che Rodrykuban ha sbagliato a porta vuota e si è ritrovato casualmente la respinta del portiere tra i piedi. Oggettivamente, due gol di merda. Al di fuori dei pregiudizi quale sarebbe il verdetto empirico? Che una squadra ha avuto bisogno di 80 minuti per segnare e l'altra ce l'ha fatta in 10. Elementare Watson. Non vedo altro modo di fotografare la situazione, a meno che nel regolamento del calcio non sia scritto che se fai 250 passaggi menando il torrone è bello e se invece scatti in profondità e infili la difesa è brutto. Siamo sempre lì: a uno lo eccitano le tette grosse, un altro sbava per i fisici skin delle ballerine classiche con tette piccole e capezzoli ben evidenziati.
Ancelotti ha pareggiato 3-3 giocando alla spagnola e ha pareggiato 1-1 giocando all'italiana. Non credo nemmeno che fosse preordinato, dato che nessuno poteva sapere che il Real avrebbe segnato dopo 12 minuti. È successo, e memori dei gol da polli segnati e subiti nella partita precedente, i giocatori hanno difeso il vantaggio. Credo che lo avrebbero fatto il 90% delle squadre di calcio, incluse quelle di Guardiola, che il catenaccio lo fa gestendo palla. A qualcuno piace, ad altri fa cagare. Perô Guardiola è stato (forse lo è ancora, ma la mia idea è che ormai sia incartato su se stesso) un grande tattico pragmatico e risultatista. Ha capito che il Barcellona subiva da troppi anni lo sconquasso dell'arroganza dei tecnici olandesi (e loro allievi spagnoli), il cui fondamento era "ce l'ho solo io", in puro stile top model. Gente che dalla qualità estraeva poco succo, troppo poco, e che il Barcellona vinceva molto meno rispetto allo strapotere tecnico. E ha trovato una sintesi perfetta per esaltare il lavoro della cantera, che educava al palleggio e all'estro, dando un senso vincente a quelle qualità, in sostanza "facendole rendere" in termini di risultati. Senza rinunciare. d'altro lato, ai Puyol e ai Busquet. Ha creato un marchio e ha venduto quel marchio in tutto il mondo, perché è stato un marchio vincente.
Ancelotti non riesco a vedere che dia una particolare impronta alle sue squadre, salvo usare il buon senso. Va benissimo al Real, che ha un'arroganza diversa da quella del Barcellona olandese: comprare tutto il comprabile, incluso gli arbitri e la pubblica opinione, e lasciar fare a chi va in campo. Concetti con i quali tattici più o meno raffinati, tipo Mourinho o Capello, lì durano poco anche se vincono.
Per anni abbiamo vissuto la favola del mitico calcio inglese, basato sull'ignoranza tattica e di fatto buggerato non appena metteva il naso all'estero. Intendiamoci, avevano ragione. Ma quando hanno inventato le regole del calcio, rifacendosi al rugby, cioè possesso palla per arrivare in meta (gol), quindi 2 difensori a guardare, 6 uomini di movimento per portare su l'azione e due che si lanciavano dentro, hanno sbagliato a non prevenire l'opposizione degli avversari nella riconquista della palla, il contrasto duro, il fallo sistematico, il fuorigioco e un sacco di altre eventualità. Quando gli svizzeri e i viennesi hanno cominciato a capire che la tattica poteva limitare la potenza, subito imitati dai tedeschi, il loro calcio non era più competitivo. Ancor peggio quando, attraverso gli uruguagi, gli italiani hanno ancor più affinato ed esasperato tattica e strategia, sul finire degli anni 60, e hanno poi sviluppato i concetti basilari negli anni 80 e 90.
Ci sono volute regole nuove per tentare di riportare il calcio all'ingenuità originaria. Ma essendo impossibile, si è arrivati a un simulacro di calcio-spettacolo dove si segna di più perché non si possono toccare gli attaccanti in area, volano cartellini di tutti i colori, i giocatori tecnici cadono a terra morti appena li sfiori e ora il VAR fa piovere rigori a catinelle come se tutte le squadre fossero il Real Madrid (che comunque ne riceve sempre qualcuno in più). Diversa la storia in Sudamerica, dove del Brasile si ricordano solo le fighettate dei colpi di tacco, senza andare invece a capire che, a differenza dell'Inghilterra, i carioca avevano una coscienza tattica molto sviluppata, da cui ha attinto in parte l'Olanda degli anni d'oro. Il Brasile giocava a zona, approfittando di un calcio dove il contrasto era limitato all'area di rigore, dove il presidio degli spazi era inesistente e appoggiava il suo gioco sulla proiezione dei terzini, sull'uso dell'ala tattica, sul regista che innescava le proiezioni dei centrocampisti-attaccanti. Questo già nel 58. E questo dopo che l'Uruguay aveva dimostrato come il calcio "bailado", senza coscienza tattica, poteva essere schiantato,
Alla fine della fiera, non si può ridurre la "bellezza del calcio" a chi tiene di più la palla o annaspa per 80 minuti alla ricerca di un gol che non arriva. Quel concetto di "bellezza" è un calcio da seghe dove non si tromba mai. Sbaglia chi cita Zeman in quel contesto. Il calcio di Zeman è un calcio basato sulla profondità, sul palleggio che favorisce l'aggressione fulminea degli spazi, sull'antico modello uruguagio, poi ungherese e in parte viennese, di cui il primo calcio tattico italiano (Rocco, copiato da Herrera) è una geniale semplificazione, per evitare l'inferiorità fisica di quei tempi, mentre il calcio di Zeman richiede un dispendio esagerato. Scoglio era verticale, Bagnoli, in modo diverso, era verticale, per restare a noi. Il calcio bello per me è profondo e verticale, ma è anche vero che per me le top model bellissime e che se la tirano sono meno interessanti della massaia sensuale del piano di sopra. A ognuno il suo, ma non spacciamo concetti universali. A me la Premier fa cagare, perché vedo un'approssimazione tattica enorme in funzione dello spettacolo. Gol che entusiasmano il pubblico alticcio e fanno vendere le magliette, a fronte di disposizioni tattiche difensive da oratorio, mi fanno solo rabbia e tristezza. Ma molti si divertono e quindi dovrebbero godere vedendo il gol preso dal Genoa a Firenze: che spettacolo! E che spettacolo il gol di Radonjc a Torino!
Dico di più. In molte partite giocate dal Genoa in casa (molte con Juric), ma anche alcune di quest'anno con Gilardino, contro squadre modeste (Salernitana, Empoli, eccetera) il Genoa ha attaccato di più e tenuto palla più degli avversari. Basta per dire che ha giocato meglio, anche se ha pareggiato o perso?
In certe opinioni vedo molto qualunquismo. La differenza non è il possesso o il palleggio o la difesa, ma lo sbocco di quella disposizione tattica, finalizzata al ribaltamento di fronte, alla ricerca della profondità e del gol. Poi è vero che molte partite dovrebbero durare solo 10 minuti, quei famosi 10 minuti finali in cui la squadra che perde si riversa in avanti sputando l'anima alla ricerca del pareggio. Eliminiamo le retrocessioni e giochiamo partite dove non c'è niente da perdere. Grande intrattenimento, ma non è più calcio.