Belin Massimo, che nottate fai?😂
Intanto grazie del post e della dedica.
Essendo il tuo scritto molto denso e ricco, ti devo ( e mi fa naturalmente molto piacere) una risposta degna del tuo stimolo.
“Ma, se veramente l’esistenza precede l’essenza, l’uomo è responsabile di quello che è. “
“Soggettivismo vuol dire, da una parte, scelta del soggetto individuale per se stesso e, dall’altra, impossibilità per l’uomo di oltrepassare la soggettività umana. Questo secondo è il senso profondo dell’esistenzialismo (Sartre, 1946)”
Sartre, e gli altri che citi, sono dei giganti del pensiero della sensibilità umana e della genialità.
Nel mio piccolissimo, ho ragionato spesso sull’oltrepassare la soggettività umana o meno e sul concetto di individualismo.
Sartre scrive che l’uomo è responsabile di quello che è.
L’affermazione è, a mio avviso, vera solo in parte, cioè quella parte, grande o piccola dipende, in cui l’individuo riesce a scegliere e a non essere “soffocato” dall’oggettivo ( fato, destino, ecc.).
Ad esempio, banale, ma non troppo, la vita di chi nasce in un villaggio africano, cinese o indiano presenza dei dati oggettivi diversi dai nostri punti di partenza.
Così come, per fare un diverso esempio, la presenza o meno di una X patologia muta possibilità e prospettive fra me e un’altra persona, anche se nati e cresciuti nel medesimo luogo ed condizioni.
Anche per il genio di Leopardi, sono due le fasi principali: quella del cosiddetto pessimismo storico (la storia è causa dell'infelicità umana) e quella del cosiddetto pessimismo cosmico (la natura condanna l'uomo all'infelicità).
Detto questo, la relazione fra individualismo e collettività è anche un costante tema deandreiano, che trova nello splendido Storia di un impiegato ( il primo vinile che acquistai in vita mia,all’età di 14 anni), l’esempio più forte e completo fra i suoi concept album, ricordando anche gli ottimi Bentivoglio, Piovani,
co-autori di testi e musiche
Questo dato dell’oggettività/destino è presente all’inizio dell’album nel ritrovarsi dell’impiegato come un semplice ingranaggio della macchina capitalistica,a cui diverse persone avevano provato a ribellarsi, inutilmente, negli avvenimenti del 68’.
È inizialmente un uomo plasmato dal “buonsenso” che se ne fotte di quel che accade intorno “…Ma non importa adesso torno al lavoro…”.
Come lui, non tutti si erano ribellati. Molti avevano paura, rimanevano nel recinto, sbattevano la porta in faccia “avete chiuso le vostre porte sul nostro muso…”,non avevano coraggio, e credevano alle notizie in televisione.
Lavoro sicuro e certezze moderate
“…non vogliamoci del male…” perché non ci sia violenza. É un conservatore, la sua esistenza affrescata da cose inutili (“…E io contavo i denti ai francobolli…”).
Ma c’è qualcosa che lo spinge ad un l’idea,un gesto forte,qualcosa che superi il suo individuo,qualcosa come un sogno (Il sogno numero uno nell’album).
Il ballo mascherato è il simbolo dell’ipocrisia e il mantenimento di una situazione in equilibrio e per cementare un potere. Si balla, ci si accorda, si divide il malloppo e la maschera rende invisibile chi è già potente.
L’impiegato esce da un sogno ed entra nel Sogno numero due, dove si ritrova davanti ad un giudice dopo aver realizzato, nel primo sogno, il gesto forte, cioè gettato una bomba.
Ed a questo punto si trova la prima intuizione profetica di Fabrizio.
Nel flusso melodico, un pó in stile Jethro Tull, il giudice gli dice che la sua esigenza di un gesto dirompente,era solo la sua personale ricerca di potere.
Ha ucciso il potere, ed è diventato il potere.
Mi ricorda molto i mutamenti dei diversi protagonisti ( leader o meno) del 68’ o della “sinistra” di allora, poi divenuti parte integrante e protagonista del potere.
Nelle ultime parole il magistrato infatti mette l’imparzialità della giustizia nelle mani del nuovo potere (l’impiegato), chiedendogli se vuole essere assolto o condannato.
Fabrizio spiegó che questo brano, come La Canzone del Padre subito dopo, nasce dall’esigenza del potere di rinnovarsi.
Il potere esiste continuamente, come dato di fatto. Il potere si rinnova, cambia, è un ciclo come la notte segue il giorno, ma rimane sempre presente .
Sradicato un potere, chi lo aveva combattuto ne crea uno nuovo.
Altra intuizione geniale.
Nella parte finale , il giudice gli racconta del giorno in cui aveva giudicato chi gli aveva dettato la legge, “Prima cambiarono il giudice, e subito dopo la legge.”
Ricorda qualcosa di questi ultimi quarant’anni?
Il giudice gli offre il posto di suo padre nella società borghese. Un posto di comando (il “ponte”), da cui comanderà “le navi” sotto di lui (“le più piccole dirigile al fiume”) e non si occuperà di chi è più potente di lui (“le più grandi sanno già dove andare”).
Poi subentra Berto che ha lasciato la scuola, preferisce “contare sulle antenne dei grilli”, e “non usa mai bolle di sapone per giocare”, cioè non sogna mai.
Di umili origini, è figlio di una lavandaia che “seppelliva …in un cimitero di lavatrici”. La madre, quasi una figura eroica, si spezzava la schiena , e si fermava solo “per suggerire a Dio di continuare a farsi i fatti suoi”.
Berto nel sogno è uno sconfitto e si lascia “piovere addosso”, passivo spettatore degli eventi che, nell’oggettività di cui scrivevo sopra,non può o non riesce a controllare (la pioggia metafora della vita).
Così scappa, non vive, per la paura di non saper trovare un proprio posto nella società, “la paura di arrugginire”.
Si chiude il sogno numero due.
L’impiegato ha preso il posto di suo padre, ed è diventato il nuovo potere.
Ha fallito.
Si sveglia.
E decide di farsi giustizia da solo.
Incapace di fare a meno del suo individualismo, l’impiegato sceglie un gesto effimero e solitario, totalmente inutile.
Un gesto individuale violento, ma per questo più umano della maschera e dell’apparenza.
Anche nel gesto reale e non sognato di ribellione, è impacciato, impreparato e fallisce, facendo esplodere solo un chiosco di giornali.
La poetica, insieme alla genialità , portano Fabrizio ad annullare il tempo e la cronologia degli avvenimenti del suo racconto e si affida ad una sorta di ironia della sorte: una foto della donna che ama appare nella prima pagina di ogni giornale volato in aria.
A questo punto nasce quel capolavoro ,dentro un album superbo,che è “Verranno a chiederti del nostro amore”.
Pezzo che è inserito nella storia, ma è autobiografico, in quanto scritto per Puny, la prima moglie di Fabrizio.
Nella storia dell’impiegato,gli sciacalli arriveranno subito “Quando in anticipo sul tuo stupore verranno a chiederti del nostro amore”.
L’amara consapevolezza che Loro “Sono riusciti a cambiarci, ci sono riusciti lo sai”
Lui l’ha invita a difendere e preservare questo loro amore concluso, e chiude il pezzo con una domanda,uno dei versi più belli dedicati ad una donna che si possano leggere, quasi un augurio:
“Continuerai a farti scegliere, o finalmente sceglierai”
Infine il carcere.
In quei giorni capisce l’importanza della collettività in confronto all’inutilità dell’individualismo, la causa del suo gesto.
Passato e presente dell’impiegato sono rovesciati. Prima uomo libero, ora ospite di una prigione.Prima individualista, adesso parte di una collettività.
Dal carcere la sua voce per la prima volta è parte di un coro. Vive la sua prima esperienza collettiva, con tanti altri uguali a lui, vestiti come lui, e capisce tante cose, tranne ..”qual’è il crimine giusto per non passare da criminali”.
Nel carcere, l’impiegato ha trovato il suo equilibrio, capisce che si può cambiare davvero con un sforzo collettivo “per quanto ci riteniamo assolti, siamo per sempre coinvolti”.
- [ ] Come in “Amico fragile” ed anche in “Giugno 73”, successive, Fabrizio mostrerà il distacco netto dalla sua classe di appartenenza, nel finale di “Storia di un impiegato” va oltre il pensiero di Stirner, suo punto di riferimento culturale, per abbracciare una anarchia non più individualista,ma che guarda al marxismo, senza abbracciarne l’intera dottrina,ma con uno sguardo simile,rivolto anche agli altri, soprattutto alle “Anime salve”,alle “visioni di anime contadine in volo per il mondo”.
Ed in questo, viene naturale l’accostamento di Fabrizio alla visione ed alla sensibilità di un’altro grande, Pier Paolo Pasolini.
Ma mi sono fatto prendere la mano ( per colpa tua😉) e mi sono dilungato troppo.
Per cui chiudo così!
🍷🍷