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Come immaginato in passato, alla base della squadra c'è un progetto turistico-immobiliare. Suwarso parla solo di brand, che forse è il settore di sua competenza, e spiega come la squadra di calcio sia veicolo di supporto per questo brand, ma dietro al brand ci sono certamente investimenti importanti in molteplici attività. C'è un progetto ambizioso, ma da non sottovalutare. Quando Suwarso dice che l'intento è implementare il comparto "Lago di Como" a primo e più redditizio polo turistico al mondo, rivela un intento che non si limita al cortile di casa, ma che punta a un respiro di dimensione internazionale. La squadra di calcio è funzionale a quel che c'è dietro e intorno. Lui è dentro il progetto, ma il suo compito è gestire la squadra di calcio e il suo lavoro deve essere valutato in questa prospettiva. Poco importa se la squadra serve per promuovere turismo, ville paradisiache, automobili utilitarie, bevande energetiche, assicurazioni, velleità imprenditoriali, narcisismi di miliardari annoiati. In realtà ogni squadra dovrebbe avere come referenti i tifosi, ma sappiamo per esperienza che non è così. In passato è stata il giocattolo di ricchi imprenditori e di saghe familiari ispirate alla nobiltà di censo (gli Agnelli, i Moratti, i Berlusconi, i Cecchi Gori, i Della Valle, i Pellegrini, i Mantovani, i Tanzi, Cragnotti e così via). Gente che si divertiva col giocattolo e per farsi grande lo condivideva con parte del popolo, loro nei palchi della tribuna, gli altri sui gradini di cemento. Esattamente come i Cesari dell'antica Roma pronuovevano i giochi circensi in un'arena dove ognuno aveva il proprio posto, gli aristocratici di qua, i ricchi commercianti di là, i plebei di sopra, le cortigiane di sotto. In alternativa, il calcio diventava il veicolo di interessi politici non esenti da venature pseudo-mafiose. Achille Lauro, presidente del Napoli e senatore del Partito Monarchico, regalava ingressi gratis, accesso privilegiato a centinaia di falsi accompagnatori di invalidi a bordo campo e in periodo di elezioni una confezione di pasta a testa. Oggi quel modello è diventato insostenibile. Non per niente il calcio è diventato terreno di conquista per fondi finanziari, capitali arabi, russi, americani, ognuno con il suo fardello di interessi alle spalle. Resistono alcuni personaggi non illimitatamente ricchi che fanno tesoro della loro competenza (Corsi, Sticchi Damiani e pochi altri). Non De Laurentiis che di fatto è una corporate, non più i Percassi che hanno venduto, non Lotito che a suo modo è politica. Ma ormai la realtà è diversa e i club con ambizioni elevate o perfino di semplice sopravvivenza in serie A di fatto si devono basare su investimenti che derivano da interessi extra-calcistici e sulla guida di manager la cui estrazione era extra-calcistica.
Il nostro criterio di valutazione dovrebbe prendere in considerazione solo il settore calcistico e il relativo progetto di sviluppo. Laicamente.
E se giudichiamo al di fuori dei pregiudizi non possiamo fare a meno di ammirare la chiarezza di idee e la consapevolezza di Suwarso. Illustra i capisaldi di un progetto concreto funzionale a un progetto più ampio, ma autonomo: calcio divertente per attrarre parte dei milioni di turisti che visitano la Disney lariana, calciatori di tecnica raffinata, marketing e merchandise globali, punti-vendita sparsi in tutto il globo, academy legata alla promozione turistica e a borse di studio per i migliori prospetti internazionali, testimonial in grado di attrarre simpatizzanti di ogni razza e cultura, restyling dello stadio (qui mente: l'alternativa è trasformare il Sinigaglia in una bomboniera o costruire un nuovo stadio in cambio della disponibilità dell'area preziosissima dello stadio attuale). Un progetto ampio e supportato da fondi milionari di 9 società cointeressate, con ambizioni esposte chiaramente. Capisco la frustrazione rispetto al supporto finanziario incerto da parte della proprietà rumena al buon progetto di Blazquez, ma è già qualcosa avere un manager capace di districarsi tra le tempeste. Non posso fare a meno di immaginare la portata di un progetto simile a quello degli indonesiani, o varato dagli stessi indonesiani, se la Liguria avesse avuto una sola squadra genovese, con il bacino d'utenza del Genoa (15 volte superiore a quello del Como) come base di partenza e l'interesse turistico di tutta la regione senza gli intralci di mille campanilismi.
Ma capisco anche l'orgoglio di affermare una capacità di resistenza rossoblu e un'identità invendibile navigando in barchetta tra mille minacciose corazzate.
In base a tutto questo non mi sento di augurare il fallimento al versante calcistico di questo progetto. Tutto sommato hanno scelto una squadra di calcio che, rispetto a tante inventate anche nei dintorni di Genova e non solo di Carpi, ha una sua tradizione, molte apparizioni in serie A fin dagli anni 50/60, e per quel che conta un'antichità superiore a quella di Inter, Napoli, Roma, Lazio, Fiorentina, Bologna e pari a quella di Milan, Torino e Atalanta. Il nulla cosmico che auspica Mashi mi pare fuori luogo.
PS. Casomai 4Mazzi ascoltasse l'intervista, mi piacerebbe leggere le sue opinioni in merito al progetto.