paolopesce Sta a noi essere intransigenti su certi punti di principio cercando di trasmetterli ai nostri figli ed ai piu giovani,
Poni una questione grande come una montagna. Se fossimo ideologhi, come preservare e tramandare i valori dell'antifascismo? Come parlare alle future generazioni?
Grande sfida.
Ogni giorno, qui dove vivo, incontro gente dell'est europeo (ce ne sono molti). Li approccio inconsciamente come persone che hanno vissuto l'esperienza del "comunismo reale". Solo più tardi, a mente fredda, realizzo che chi ha meno di 50 anni quell'esperienza l'ha vissuta essendo al massimo un bambino. Nelle loro teste non c'è più alcuna traccia dei valori (anche falsi o semplicemente di facciata) del leninismo. Ragionare con loro su concetti come il consumismo, l'imperialismo e l'internazionalismo è molto difficile, perché vengono a mancare le basi. La caduta del muro di Berlino, vissuta da bambini o per sentito dire, per loro è stata, sic et simpliciter, la svolta quasi automatica dal mondo narrato dai genitori, dove la burocrazia la faceva da padrone e le case cadevano a pezzi. Per una minoranza, la fine di un'epoca di privilegi o di tutele. Per una minoranza ancora più esigua, una sconfitta della cultura. Non c'è maniera di affrontare una critica radicale al sistema capitalistico, perché non è del sistema che a loro interessa discutere, ma da ciò che il sistema ti dà in termini di oggetti di consumo, libertà di movimento, facilità di rincorrere sogni ed illusioni. Di fronte alle immagini della massa di persone che, dall'est, dopo la caduta del muro si riversavano in occidente, bisogna conservare la lucidità e il cinismo di capire che non rincorrevano la libertà (come proclamava la grancassa dei media), ma che agognavano al benessere facile, all'automobile, al frigorifero, alla lavatrice pagate a rate, al denaro che (nella loro illusione) scorreva a fiumi.
Dovremmo avere la stessa lucidità e lo stesso cinismo nell'osservare come si approcciano i giovani d'oggi ai valori della resistenza e dell'antifascismo. È il solo modo che hanno tutti gli antifascisti (socialisti, popolari e libertari) di ritrovare un terreno comune.
Il dato da cui partire è un dato per certi versi crudele.
I nostri nonni lottavano per un mondo diverso, con regole diverse, in grado di annullare le differenze di censo o quantomeno di assemblare tutte le classi sociali dietro un unico ideale, che inevitabilmente si sintetizzava con i termini dell'unica, grande Rivoluzione dell'Occidente: libertà, uguaglianza, solidarietà. Con l'accento gramsciano sulla giustizia, rivolto soprattutto all'affrancamento degli emarginati dalla condanna alla sottocultura.
I nostri figli e nipoti per cosa dovrebbero lottare? Quale dei suddetti principi è facilmente percepibile nella loro esperienza quotidiana e non invece un mantra indiscutibile ma freddo come un'iscrizione sulla lapide di un Museo?
La lotta dei nostri nonni si è conclusa con la libertà ritrovata, un Repubblica fondata su una Costituzione moderna ed inclusiva. Ma quella Repubblica entrava inevitabilmente a fare parte di un mondo polarizzato, nel quale potevi propugnare tutti gli ideali più puri, ma nel quale non sussisteva nessuna reale possibilità di tradurli in una sintesi politica che potesse mettere in discussione gli accordi di Yalta. L'impossibilità di una Rivoluzione toglieva forza agli ideali dei nostri nonni e anche la speranza in un intervento esterno (verrà Baffone) veniva meno. Ogni battaglia, per non essere retorica, riguardava aspetti "migliorabili" dell'assetto democratico della Repubblica, non i suoi fondamenti. Sono state battaglie dure e certamente meritorie, che hanno consentito alle masse subordinate di vedere riconosciuti diritti prima inesistenti e in gran parte di riscattarsi dalla povertà e dall'emarginazione, ma non dalla subordinazione a un "ordine superiore". Per dirla con i critici più radicali, mutamenti nella forma, ma non nella sostanza dell'assetto democratico. I "compagni che sbagliano" hanno reso evidente il confine tra il dibattito e la lotta armata. Superato un certo limite, quando non è più utile assecondare le P38 del dissenso e le bombe di stato per condizionare l'opinione pubblica, i poteri si saldano, e si saldano sempre in una visione "atlantica" che non lascia spazio a conquiste sostanziali.
Nel frattempo il sistema evolve dal consumismo elementare all'iper consumismo della comunicazione e distrugge ogni aggancio.
La classe operaia non ha smesso di combattere, è semplicemente svanita come classe. Michel Houellebecq segnalava come la strada della frantumazione delle coscienze da parte dei poteri occulti non passava più prioritariamente per la repressione, ma per l'inconsapevole conquista del consenso attraverso l'arma dell'individualismo. Il desiderio e la moltiplicazione all'infinito del desiderio generano individualismo. La connessione degli individualismi in una fittizia relazione multimediale con innumerevoli soggetti sconosciuti e pseudo-reali esalta la solitudine, consolata da desideri condivisi in astratto che non si realizzano mai o che, casomai realizzati, vengono sostituiti da nuovi desideri, spesso indotti dalla rete che connette quegli individui, in un'infinita moltiplicazione di traguardi effimeri, come un caleidoscopio.
Il desiderio distacca l'individuo dal tessuto sociale perché è suo, solo suo, e popola i suoi sogni. Non solo, distrugge anche l'ultima cellula comunista della società, che è la famiglia. La famiglia ha senso in quanto cellula di individui che condividono aspirazioni e sacrifici, sulla base di una solidarietà che accomuna le generazioni e trasmette valori comuni nei quali riconoscersi. Ma basta instillare desideri individuali nei suoi componenti (spesso desideri inconfessabili o segreti) ed ecco che il principio di solidarietà viene meno e ciascuno comincia a navigare in solitario verso le proprie isole di utopia.
Se questo è il quadro (e a me sembra un quadro abbastanza credibile), come trasmettere i valori dell'antifascismo, della democrazia sostanziale, della storia, a generazioni che non sono insensibili agli scenari di lotta dei loro nonni, ma semplicemente non posseggono strumenti per agganciarsi a un mondo a loro sconosciuto, che non esiste più?
Come superare la barriera della verità, che rende termini quali giustizia, uguaglianza, libertà, di cui tutti abusano, termini concreti, da vivere sulla propria pelle? Come distinguere la forma dalla sostanza?
Io sono convinto che l'unica strada percorribile sia quella di agire sul concetto di libertà.
È quello che più direttamente può essere sperimentato nel concreto, e dalla sostanza del quale poi derivano gli altri.
L'obiettivo dovrebbe essere quello di esaltare il concetto di libertà dimostrando come l'apparente libertà che viene propinata in milioni di forme baluginanti sia solo un inganno, un espediente per conculcare la vera libertà.
Chi vede l'inganno della falsa libertà profusa per annebbiare le coscienze, poi vede chiaramente anche le mistificazioni che stanno dietro i concetti di giustizia, di uguaglianza e di democrazia.
Può esistere un giustizia fascista, una forma di uguaglianza spacciata dai fascisti in doppiopetto, una democrazia piegata agli interessi fascisti, ma non esiste e non esisterà mai una libertà fascista.
Distruggere la falsa idea di libertà diffusa artatamente dal sistema, a mio modo di vedere significa risvegliare le coscienze alla diversità invalicabile nei confronti del fascismo travestito da perbenismo. E dare un senso a nuove forme di resistenza.
Scusate la lunghezza, ma il 25 aprile cade una sola volta all'anno.