Greif1957 Noi italiani siamo discretamente pigri in fatto di lingue straniere
Non solo. Sapessi quanti italiani non parlano o scrivono un italiano corretto...
Io ho dovuto studiare tedesco per tre anni a scuola. Quindi ho una certa infarinatura sulle regole grammaticali. Ma purtroppo avevo un'insegnante che interrogava in ordine alfabetico. La regolina da imparare e 20 tra vocaboli e verbi. Inutile dire che si imparavano solo i vocaboli che servivano per l'interrogazione, che poi venivano subito dimenticati. C'era anche il dettato, ma in pratica uno scriveva e gli altri copiavano perché non li ritirava, li leggeva il giorno dell'interrogazione.
Comunque una notte che mi sono perso a San Pauli (quando non esistevano telefonini e diavolate varie) e non c'era ombra di taxi né di passanti (credo fossero le tre o le quattro del mattino), quando finalmente mi sono imbattuto in un cristiano, il tedesco mi è uscito fluente da chissà dove.
Non ricordo chi (credo Eco) diceva che padroneggiare una lingua straniera è più difficile quanto più si parla bene la propria, perché si vorrebbe parlarla come la propria e la ricerca della perfezione inibisce. Meglio buttarsi.
Io sul finale degli anni 70 fino alla Expo del 92, ogni anno andavo tre mesi a Siviglia (e resto dell'Andalucia) per studiare la tauromachia. Ogni giorno leggevo tre quotidiani (ABC, El Pais, El correo de Andalucia) e per due settimane, nel tendido 8, che è quello dei vecchi aficionados, dove quasi tutti in vita loro avevano provato a mettersi davanti a un toro e frequentavano gli allevamenti, ascoltavo infiniti racconti di gesta passate, vissute di persona o tramandate da padri e nonni. Bene, per due anni non ho parlato, salvo che per ordinare al ristorante e chiedere il conto. Il terzo anno, la prima notte in Feria, ubriaco, ho cominciato a parlare, senza volerlo. Mi uscivano parole ed espressioni che non sapevo di conoscere, evidentemente memorizzate negli anni precedenti in modo inconscio. Non solo, parlavo con un accento andalù così marcato che un cameriere per un po' ha creduto alla broma (balla) che ero di Gines, un paesotto lì vicino. Solo al momento del conto, quando l'ho ringraziato con sussiego, mi ha detto: "Señor, lo siento però ahora no creo que Ustè sea de Giné". "E porqué?". "Porqué Ustè es una persona amable y lò de Giné son catetos". Non per la pronuncia, ma perché quelli di Gines sono burini. Per questo lo ha capito. Poi, col tempo, l'accento andaluso l'ho perso. Che poi non è solo un accento e un modo di troncare le parole e aspirare la finale, ma anche un uso gutturale e cupo della voce che i tedeschi e i nordici se lo sognano.