4Mazzi mi limito a constatare la crisi esistenziale del modello novecentesco occidentale senza alternative plausibili
Carissimo, non volevo più tediare i lettori del Muretto, ma consentimi di sviluppare, in vecchiaia, quelli che erano i miei interessi di giovane universitario. Non sarei così pessimista sul fatto che non esistano alternative. Esistono, ma sono frutto di quella che, nel bridge, si chiama "scelta ristretta", vale a dire dimenticare la strategia elaborata in astratto, ma considerare la soluzione migliore in base a quanto la strategia originaria è stata limitata dalle mosse del tuo avversario.
L'occidente si dice liberale, ma il liberalismo era una teoria rivoluzionaria rispetto alla conservazione dell'ordine teocratico imposto dall'aristocrazia di sangue e poi di censo. Ora, di rivoluzionario, ha ben poco.
Il difetto di ogni teoria è la progressiva corruzione dovuta all'oblio delle condizioni originarie. Anche il marxismo (scontata la differenza tra le proposizioni del Marx umanista, di indiscutibile valenza universale, e la sintesi pragmatica operata in sede di iniziativa politica), anche il marxismo così come il liberismo, perde il contatto con le radici del patto sociale. Per capire la dicotomia tra rivendicazione di una totale libertà e una prevalente giustizia, non si possono dimenticare i punti di partenza. Lo Stato non è un'entità aprioristica, bensì la conseguenza di un patto sociale tra uomini che aspiravano ad uscire dal caos naturale, basato sulla legge del più forte. In funzione di questo patto, gli uomini rinunciavano a una parte delle proprie libertà in cambio della sicurezza e di un certo grado di giustizia. Spettava alle leggi del neonato Stato fissare i paletti per salvaguardare le libertà non arbitrarie e tutelare gli attentati alla convivenza civile. È su questo delicato equilibrio che si gioca la partita. La difficoltà maggiore derivava dalla definizione e conseguente difesa del diritto di proprietà. Per tutto il Medio Evo le terre e tutto quanto erano di Dio, incarnato dal Sovrano, e tutti ne usufruivano liberamente. Solo verso la fine del Medio Evo i feudatari cominciarono a imporre tasse e gabelle dapprima sulle case e le baracche costruite sui terreni che controllavano e poi anche sui frutti e le risorse del territorio. Prima ogni persona poteva cacciare uccelli o raccogliere lumache nei boschi, così come coltivare appezzamenti di terreno, poi questa libertà fu conculcata, non sulla base del diritto, ma della capacità di imporre le regole con la forza. Diciamo che ad un certo punto chi poteva difenderne i confini decideva che quella terra era sua. In questo senso in origine la proprietà è un furto a danno del resto della collettività, come è apparso ancora più evidente con la conquista dell'America, dove la proprietà fu decisa dalla forza dalle armi. Ma in Inghilterra, ancora nel 1500, il diritto di proprietà non era riconosciuto dal popolo, che lo considerava una forma di prepotenza. Geordie rubò 6 cervi nel parco del Re, secondo il Re. Ma secondo il sentimento popolare non rubò affatto: prese quello che la natura (Dio) metteva a disposizione di tutti. Il fatto è che il Re aveva armi e uomini per difendere il concetto che le terre e i cervi erano suoi e per decidere, di conseguenza, che Geordie era un ladro. Quando il concetto di Stato si diffuse, esistevano un sacco di proprietà di fatto e la legge ne prese atto. In pratica, la maggioranza dei cittadini rinunciò a rivendicarle in favore di pochi che se ne erano appropriati, in cambio di una giustizia che venne in gran parte disattesa. Pian piano si dimenticò l'origine controversa della proprietà e la promessa di regolare in modo equanime i suoi frutti. E la cosa peggiorò con lo sviluppo della civiltà industriale e la produzione di massa, dove chi deteneva i mezzi di produzione di fatto si appropriava del prodotto finale, frutto del sudore degli operai, liquidandoli con qualche spicciolo. Per i liberisti è un fatto scontato che chi possiede i mezzi di produzione e ci mette la materia prima incameri i profitti e pretendono che nessuno intervenga con regole e limitazioni. Ma se torniamo alle origini questa totale libertà rivendicata dai liberisti non è così evidente. Tu dai le macchine e le affitti (in cambio di un salario) agli operai perché producano, poniamo, pentole. Alla fine della giornata, gli operai e la materia prima ti sono costate mille, ma la vendita delle pentole prodotte ti fa incassare 4mila. Tuttavia ti lamenti perché lo Stato ti impone, oltre alle tasse, una serie di costi sociali e misure di tutela salariale e occupazionale per gli operai. Bene, facciamo il caso che, alla fine della giornata, gli operai vendano le pentole per 4mila, ti paghino un tanto per l'affitto delle macchine e la materia prima e si intaschino il resto. Chi ti difende? Chi determina che il tuo profitto è legittimo? Lo Stato e le leggi dello Stato. Quindi non venirmi a menarmela sull'esagerata intromissione dello Stato e sulle tue libertà conculcate, perché senza lo Stato e la protezione delle leggi dello Stato gli operai, che sono molti, ti fanno un culo così, ti espropriano con la forza della fabbrica, ti fregano la macchina e ti scopano la moglie, esattamente come succedeva in natura prima del patto sociale da cui è nato lo Stato.
Ma è un fatto che, col tempo, le leggi hanno sempre più difeso i privilegi di pochi e disatteso le pretese di giustizia di molti. Dimenticando le origini, troppe cose sono state date per scontate e le disuguaglianze si sono estese a tutti i campi, dalla sanità ai diritti all'istruzione, quando non anche alle differenze etniche.
Aggiungiamoci che quasi tutte le rivoluzioni hanno determinato, o un eccesso di ricerca della giustizia a discapito delle libertà, o un compromesso per una nuova ripartizione dei privilegi.
Come se ne esce?
A livello individuale (lo segnalo a Sunnyboy) attraverso l'impegno di comportarsi nel modo che si ritiene giusto, nel rispetto degli altri e di se stessi quando ci si guarda allo specchio.
A livello sociale (scelta ristretta), attraverso il modello di riformismo che tenta di fondere insieme il meglio delle teorie liberali e il meglio delle teorie socialiste. Vale a dire una società inevitabilmente capitalista ma i cui profitti sono in buona parte ripartiti per fini sociali. Va detto che, laddove questo modello di società viene seguito, la discriminante è la coscienza civica dei cittadini, basata su un inesorabile rispetto delle regole, sul disprezzo per chi le infrange, sull'impegno sociale e la solidarietà, non disgiunte da un sano orgoglio nazionalistico.
Ci sono paesi che, alla fine della seconda guerra mondiale, avevano le pezze al culo ed ora sono in cima alle classifiche della ricchezza pro capite e della qualità della vita. Altri che, nonostante i piani Marshall e un'enorme espansione post bellica dell'economia, hanno solo scalato le classiche della furbizia e della disuguaglianza sociale, per tacere del miserabile senso civico.